Il mestiere del critico
ULTIMO APPRODO: LA PAROLA
Come un ‘avviso ai naviganti’ la messinscena di “Prima del silenzio” di Patroni Griffi, protagonista Leo Gullotta, regia di Fabio Grossi
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Che cosa si può dire e a chi, prima di congedarsi dalla vita e dai suoi profusi fallimenti?
È’ questo il tema della piéce dal sapore decadente di Patroni Griffi, scritta negli anni ‘70. Il favellatore è un maestro della parola, un poeta senza identità ( Leo Gullotta alle prese con un personaggio di sveviana memoria), ultima propaggine di una specie in estinzione. E’ lui che, mago incontrastato del Verbo, attraversando lunghi, irrefrenabili monologhi, rovescia in un incontro occasionale una valanga inarrestabile di ricordi e riflessioni su un giovane in odore di nomadismo ( (l’impetuoso e carnale Eugenio Franceschini) assolutamente scevro dai compiacimenti del Logos, piuttosto dedito ai compiacimenti del corpo, esibito e protagonista nella sua procace solidità, in contrapposizione al degrado fisico di un uomo sulla china di un declino inarrestabile. L’uno rivendica una parola che sia ponte tra gli esseri umani, in un ultimo, disperato tentativo di comunicazione, l’altro chiede il silenzio come unica possibile comunicazione.
La contrapposizione si svolge su un divano , unico oggetto al centro di una scenografia infarcita di impianti tecnologici che ora disegnano filamenti luminosi, volti a delineare lo spazio-stanza e il suo sconfinamento, ora indugiano in proiezioni che sfondino le porte dello spazio e del tempo, proiettandoci insieme ai due protagonisti in carne ed ossa nella memoria del vecchio e nelle sue relazioni abbandonate per strada: La moglie petulante e nemica; il figlio, borghese e ottuso; il domestico, saggia e inutile presenza che cerca di riportarlo alla famiglia, ectoplasmatiche presenze rese possibili da ironiche proiezioni digitali sui pannelli-pareti che chiudono lo spazio ideale di questa contemporaneità impossibile tra passato e presente dal chiaro sapore metafisico. La fine è vicina per l’anziano poeta. L’ultima occasione per dire. Che cosa dire, dunque? Atroce dilemma. Ricordi? Sogni? Segreti ? Paure? Ultime volontà? L’antica, sacra parola, si incide, iscritta nella modernità tecnologica che la accompagna ed esalta, sottolinea e sovrasta in una fantasiosa girandola di forme, luci, colori, effetti speciali. Il Poeta racconta e si racconta.
Le ragioni di una scelta, come rinunciare alla famiglia, agli agi, a una posizione sociale, a una poesia conclamata si snocciolano in un percorso a ritroso che imbocca strade e stradine intersecate, sovrapposte disordinatamente in quel caos che offre una mente sovraeccitata dall’imminente fine.
L’estraneità dei due soggetti incoraggia una confessione senza preti e senza altari. Dio è lontano . Ne sentiamo appena l’afrore nel mare in movimento sulle scarne pareti del Nulla di questo Qui ed Ora. Fiumi di parole fluiscono così in un dilagante percorso di pensieri( come sfuggire alla tentazione del monologo interiore di joiciane odissee?) per approdare a una parola negata e subita dal giovane, che intanto si sdraia al sole, legge, si masturba, fa la doccia, e infine, zaino in spalla si allontana per sempre, troncando ogni deiezione possibile all’occasionale, logorroico Maestro. Scontro generazionale? Fuga da un mondo mistificato dalla parola? Il tramonto della parola per eccellenza, la Poesia, come scrittura, ultimo baluardo in un mondo in preda ai parossismi virtuali? Gli sproloqui galleggiano su finti mari e su finti lutti.
L’operazione evoca gli struggenti sapori della sognante Lunaria di Vincenzo Consolo, cesellatore della parola, defensor fidei di una intensa favola di caduta e rinascita della luna, simbolicamente assurta a dea di un linguaggio poetico raro e prezioso.
“Ma in questo “racconto tecnologico”, come viene definito nelle note di regia, -ci si chiede – è possibile generare l’Ultima Parola, in una condizione denotativa in cui siamo tutti consapevoli della situazione?” Le ultime parole di un condannato a morte hanno il grugnito della retorica o della sciatteria. Sono rischiose. Ci si aspetta tanto da questo nobile e sacro refuso. Puntellare con profusioni di linguaggi mediatici può stupire l’occhio dello spettatore, ma rimane la mente, vigile, a spiare l’onestà del Detto e del Fatto. La morte della parola coincide con la morte del dramma che si spegne in un’onirica atmosfera autunnale, dove le foglie diventano fogli che il logorroico zittito tenta di afferrare in un estremo, inutile tentativo di salvarne il contenuto. Scripta manent? Adieu senza rimpianti. E’ d’uopo il Silenzio.
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Produzione Teatro di Roma in collaborazione con Teatro Eliseo e Fuxia Contesti d’immagine
Prima del silenzio
Di Giuseppe Patroni Griffi
Regia: Fabio Grossi
Con Leo Gullotta, Eugenio Franceschini, Paola Gassman, Sergio maschera, Andrea Giuliano.
Risoluzione scenica: Luca Filaci
Visto al Teatro Verga di Catania