L’architettura edificante degli Oscar 2019
di Sergio Cervini 25-02-2019
Bene, anzi no. Prendiamo atto di vivere nel recinto sempre più stretto delle didascalie, delle indicazioni, delle prescrizioni. Una segnaletica asfissiante della correttezza che ci addita continuamente le strade da percorrere, i modi di essere, di pensare, di comportarci. E la tendenza mostra di volersi accentuare. Questa struttura edificante e assai rigida sembra il riflesso speculare delle forme mentali in voga negli anni ’50; gli intenti sono apparentemente opposti ma i metodi appaiono identici. Ora come allora si biasimano le presunte incarnazioni del male, solo che il Maligno nel frattempo ha cambiato volto.
Si procede di denuncia in denuncia, con uno stile espressivo medio che preclude sperimentazioni e trasfigurazioni, da Vice a Green Book, sopravvalutando, per esempio, la contrapposizione scontata ‘bianco/rozzo/pragmatico’ e ‘nero/raffinato/trasognato’. L’esibizione di un esemplare ‘black’ molto speciale, plurilaureato colto gentile, è un escamotage narrativo, schematico ed efficace, già presente in Guess Who’s Coming to Dinner di Stanley Kramer (1967).
Non manca neppure l’omaggio alla gaytudine frivola e canterina che s’incarna nel mito di Freddie Mercury. L’omosessualità va benissimo e fa vendere biglietti, basta che non sia una cosa seria bensì, come nel caso di Bohemian Rhapsody, una parodia della parodia. Non a caso nel 2016 Carol venne ignorato e, ancor più grave, vennero trascurate le due meravigliose protagoniste Cate Blanchett e Rooney Mara a vantaggio di un’attrice enfatica e immatura (Brie Larson) e di un’interprete ancora piuttosto informe (Alicia Vikander).
In questo lago di melassa a sparire sono il concetto stesso di estetica e la funzione perturbante del cinema come arte (anzi come procedimento di ibridazione di tutte le arti). Se manca uno sguardo realmente d’autore, capace di sondare e persino alterare la percezione e la conoscenza sensibile per giungere dietro lo specchio, al di là della realtà come apparenza, a che serve il processo creativo?
E’ chiaro che The Favourite, perla nera che notomizza potere paura efferatezza sesso come forse nessun altro film contemporaneo, non poteva che subire una grave penalizzazione (gli sono stati negati persino i premi tecnici). Quasi una beffa assegnare il solo Oscar Miglior Attrice protagonista alla splendida Olivia Colman, che ripete, a distanza di 11 anni, il percorso trionfale di Helen Mirren con The Queen (Coppa Volpi, Golden Globe, BAFTA, Oscar).
Comunque, se a qualcuno interessasse, ecco la lista completa dei ben poco meritevoli vincitori.
Miglior Film:
“Green Book”
Migliore Attore Protagonista:
Rami Malek, “Bohemian Rhapsody”
Migliore Attrice Protagonista:
Olivia Colman, “The Favourite”
Migliore Attore non Protagonista: Mahershala Ali, “Green Book”
Migliore Attrice Non Protagonista: Regina King, “If Beale Street Could Talk”
Miglior Regia:
Alfonso Cuarón, “Roma”
Miglior Film Di Animazione:
“Spider-Man: Into the Spider-Verse,” Bob Persichetti, Peter Ramsey, Rodney Rothman
Miglior Cortometraggio di Animazione:
“Bao,” Domee Shi
Migliore Sceneggiatura non Originale:
“BlacKkKlansman,” Charlie Wachtel, David Rabinowitz, Kevin Willmott, Spike Lee
Miglior Sceneggiatura Originale:
“Green Book,” Nick Vallelonga, Brian Currie, Peter Farrelly
Miglior Documentario: “Free Solo,” Jimmy Chin, Elizabeth Chai Vasarhelyi
Miglior Cortometraggio Documentario:
“Period. End of Sentence.,” Rayka Zehtabchi
Miglior Cortometraggio:
“Skin,” Guy Nattiv
Miglior Film Straniero:
“Roma” (Mexico)
Miglior Fotografia: Roma
Miglior Montaggio:
“Bohemian Rhapsody,” John Ottman
Sound Editing:
“Bohemian Rhapsody,” John Warhurst
Sound Mixing:
“Bohemian Rhapsody”
Miglior Scenografia: “Black Panther,” Hannah Beachler
Miglior Colonna Sonora:
“Black Panther,” Ludwig Goransson
Miglior Canzone:
“Shallow” from “A Star Is Born” by Lady Gaga, Mark Ronson, Anthony Rossomando, Andrew Wyatt and Benjamin Rice
Trucco:
“Vice”
Costumi:
“Black Panther,” Ruth E. Carter
Migliori Effetti Speciali:
“First Man”