Il mestiere del critico
SCIASCIA E LA ‘MORALITY PLAY’
Al Teatro Biondo di Palermo, “L’onorevole” per la regia di Vitrano e Randisi
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“Naturalmente io respingo la mafia come fenomeno sociale […]. Ma come fenomeno letterario essa è effettivamente affascinante”. Sono parole di Leonardo Sciascia che spiegano come su questo argomento egli producesse le sue opere più interessanti, come si sentisse irretito da quella potenza distruttiva capace di raggiungere, piegare e sedurre persino le coscienze più solide. Anche ne L’onorevole, opera scritta nel ’65 ma perfettamente calzante ai giorni nostri, ogni rigurgito morale viene travolto e nella descrizione della discesa agli inferi del professor Frangipane non basta la denuncia dei fenomeni di malcostume, del clientelismo, della connessione mafia-potere a suscitare alcuna speranza di cambiamento. Enzo Vetrano e Stefano Randisi, in scena al teatro Biondo fino al 18 gennaio, scrivono un adattamento più agile e per lo più fedele del dramma in tre atti di Sciascia e lo dirigono con scrupolo filologico, mantengono la collocazione storica e geografica e connotano i personaggi in modo efficacissimo, anche quelli che potrebbero apparire di puro servizio.
Felice dunque la scelta degli interpreti: Vetrano è il modesto professore innamorato della cultura e malato di idealismo alla Don Chisciotte (testo sacro letto e riletto durante le pause lavorative) che si trasforma, non senza un certo rovello interiore, in un elegante, insuperbito onorevole prono ai compromessi; Randisi è un pregevole Monsignor Barbarino tutto sorrisi e ipocrisia che non esita a tuonare, con l’autorità che la Chiesa gli ha conferito, quando qualcuno o qualcosa intralciano i suoi avidi progetti; Giovanni Moschella è il perfetto mafioso locale che si impone inizialmente al professore attraversato da scrupoli etici per poi travolgerlo con il profumo di facili guadagni che puzzano di ricatti e vessazioni; Angelo Campolo è Fofò, giovane comunista sanguigno che impiega davvero poco tempo a cambiar bandiera e colore perché essere genero di un onorevole consente vantaggi insperati e irrinunciabili; adeguate anche le interpretazioni di Aurora Falcone, Aurelio D’Amore, Antonio Lo Presti, Alessio Barone.
Discorso a parte merita l’Assunta interpretata da Laura Marinoni, uno dei primi personaggi femminili di vero spessore della narrativa di Sciascia, la moglie devota e innamorata che avverte con sgomento la corruzione dell’anima e il disfacimento delle idee nel suo nucleo familiare e ne fa il simbolo di una corruzione più grande che investe l’intera società. Prepara la valigia al marito, timorosa per imminenti sviluppi giudiziari, e contemporaneamente valuta i guasti morali di quella ricchezza esagerata e immeritata. E’ la voce della coscienza e della verità, vibrante nelle corde della Marinoni, messa a tacere da una Chiesa sorda e opportunista ed etichettata, come nei geniali lavori pirandelliani, come “follia”. Proprio lei, e la cultura trafugata al marito in un involontario quanto necessario passaggio, costituirebbe la parte sana di una società connivente, se non giungesse l’epilogo beffardo e crudele di una passeggiata al Lido di Venezia, con i bagliori del patinato mondo cinematografico (e televisivo con una polemica stoccata registica), ad oscurare quel tanto di autenticità rimasta in fondo al cuore.
L’azzeccata scelta scenografica, realizzata da Mela Dell’Erba, punta sull’allargamento delle pareti laterali semoventi per definire le nuove dimensioni, e il conseguente rinnovamento degli arredi, della casa abitata dall’onorevole. La dilatazione spaziale si configura come acquisizione di uno status symbol, insomma, che rispecchia le nuove condizioni economiche ed ospita la febbrile raccolta dei dati elettorali in cui la pratica del “voto contro”, all’interno dello stesso partito, assume un sapore grottesco. Anche il disegno luci di Max Mugnai riverbera il cambiamento interiore ed esteriore: dapprima calde ed avvolgenti e poi fredde e invadenti all’insegna dell’efficienza. In tal direzione appare davvero acuta la trovata dell’improvviso blackout che costringe alla luce delle candele proprio durante la visita di monsignor Barbarino e degli scagnozzi democristiani in casa dell’ancor professore Frangipane. La proposta della candidatura avviene in un’atmosfera quasi sacrale: a ridosso del piccolo tavolo disseminato di libri (sacri com’è sacra la cultura) ognuno regge la propria candela come se stesse effettuando un’offerta votiva in un santuario.
I volti rischiarati dalla luce fioca mostrano gli ultimi bagliori di onestà nell’uomo tentato da lusinghe mondane mascherate da istanze superiori e l’ipocrita malizia nel Monsignore e nei politici che si ammantano del candore del “bianco fiore”. I clamori del Lido veneziano stridono fortemente con quella penombra iniziale che era invece sole accecante di giustizia, così come i deboli singhiozzi di Assunta nella scena corale d’apertura sono il presagio dell’incombente catastrofe. Ecco perché questo morality play mostra tutta la desolazione del racalmutese: i danni morali sono irreversibili e non redimibili. A Sciascia bastava sbatterli sotto gli occhi dei suoi lettori e spettatori, ma forse nemmeno in lui albergava la speranza di un cambiamento possibile.
-la foto in alto è fornita dall’Ansa