‘Pensaci, Giacomino’: una sfida alle convenzioni
BENEVENTO – Il Professor Toti, insegnante di liceo nella Sicilia di fine ‘800, è ormai anziano, il preside della scuola più volte lo incalza per indurlo a porre fine alla sua carriera di docente, ma l’uomo non ne vuole sapere: il suo obiettivo è vendicarsi dello Stato che per anni lo ha sottopagato impedendogli di avere un reddito tale da poter metter su famiglia. Ultimo obiettivo della sua rivalsa nei confronti delle istituzioni è sposare una ragazza per poterle lasciare la pensione. L’occasione per concretizzare l’atto finale del suo piano si presenta quando la figlia del bidello della scuola, Lillina, resta incinta di un giovane, Giacomino, che non può sposarla. La gravidanza di Lillina non sembra turbare eccessivamente Toti: secondo i suoi piani, il ragazzo potrà continuare ad adempiere ai doveri coniugali, mentre il ruolo giuridico e formale di capofamiglia resterà a lui. Dopo una burrascosa discussione che coinvolge tutta la famiglia, il professore riesce ad imporre agli altri questo suo progetto di ménage à trois, sfidando le malelingue del paese rappresentate sulla scena mentre scrutano dalla finestra. Il figlio di Giacomino, Ninì, viene curato ed allevato dal vecchio professore come fosse suo.
La particolare condizione familiare accresce le critiche del paese al punto che il preside della scuola, il Cavalier Diana, torna a sollecitare il professore ad andare in pensione, in quanto la sua immagine compromette il buon nome della scuola. Il pensionamento sarebbe fattibile ancor più di prima, in quanto il Professor Toti ha ereditato un’ingente somma di denaro da un suo fratello morto in Romania. La fortuna del professore è talmente elevata che è riuscito a collocare in banca, come dipendente, Giacomino. Intanto, Lillina è disperata perché da alcuni giorni Giacomino non si presenta a casa, quindi il docente, preoccupato, manda a chiamare i genitori di lei con la speranza che la ragazza in presenza della madre riveli quale problema l’affligge. I genitori giunti nella casa, ribadiscono il loro dissenso per la particolare situazione familiare che li spinge a non avere contatti con la gente del paese che li giudica come pessimi genitori. Nel bel mezzo della discussione tra il professore e i suoceri, si presenta in casa a nome della sorella di Giacomino, Rosaria, don Landolina, parroco del paese che si fa portavoce della condanna della situazione anomala e scandalosa ed esorta il docente a vietare che i due giovani si vedano, garantendo ciò con un documento. L’uomo promette al prete di inviare quel documento al più presto. Alla fine della visita il parroco di reca a casa di Rosaria per comunicarle che il professore al più presto gli consegnerà il documento, necessario per permettere le nozze tra Giacomino e la sua nuova ragazza.
Intanto, giunge alla porta di casa della donna il Professor Toti con il bambino e, superate alcune reticenze iniziali da parte di Rosaria, l’uomo viene accolto. Dopo un dialogo burrascoso tra i due e molte insistenze, Giacomino entra nella sala. La conversazione tra i due uomini è tesa, Giacomino si mostra intenzionato a portare avanti la sua scelta di non voler più occuparsi di Lillina e del bambino, dicendo che la situazione era insostenibile per le dicerie dei compaesani. Il Professor Toti, minacciando di presentare il bambino alla sua futura sposa, lo spinge a ritornare sui suoi passi, ribadendogli che la situazione è possibile e alla fine Giacomino si convince. La sorella del ragazzo, Rosaria e il prete si mostrano contrariati, quest’ultimo ribadisce la vergogna della situazione dicendo «Giacomino, io credo…» e ottiene come risposta dal docente «Che crede? Lei neanche a Cristo crede!». Il prete viene messo a tacere e scoppia una risata di bambino con cui si chiude l’opera.
Il nucleo originario della commedia, tratto dalla novella omonima, originariamente pubblicata sul Corriere della Sera del 23 febbraio 1910 e poi trasposta in una versione teatrale, è un’opera intrigante, che mette in risalto uno dei principi della poetica pirandelliana: la scissione dell’io, meglio nota come “la maschera”, quell’adattarsi alle circostanze e lasciarsene risucchiare, rinunciando a essere se stessi e a dare forma a un’identità definita. Esempio lampante è la dichiarazione del professore in cui sostiene che la figura del docente, dell’uomo, del padre e del marito sono separate, le ingiurie e le critiche rivolte a una di queste non si riferiscono a tutte.
Interessante è la delusione e l’amarezza nei confronti della società, tipica del Pirandello tardo, incarnata a pieno dal professor Toti che si lamenta della bassa retribuzione del suo lavoro, portando alla luce una condizione sociale che, dalla monarchia dei tempi in cui è ambientata l’opera, si è prolungata senza alcun miglioramento fino all’attuale forma repubblicana. Quello italiano è uno Stato in cui la classe docente è fra le meno pagate d’Europa. Fattore molto grave visto che la scuola è un’imprescindibile fonte di formazione della futura società su cui si basano l’esistenza e il progresso di un popolo. Un’opera lenta nei movimenti dove si cerca di stimolare la riflessione dello spettatore sulla società, sul superamento delle convenzioni e dei limiti imposti da strutture di pensiero rigide e conformiste. Magistrale l’interpretazione di Leo Gullotta, nei panni del Professor Toti, che con la sua sagacia ha incarnato in pieno la mentalità scevra di ogni pregiudizio del protagonista della commedia.
PENSACI, GIACOMINO
di Luigi Pirandello
con Leo Gullotta
e con Liborio Natali, Rita Abela, Federica Bern, Valentina Gristina, Gaia Lo Vecchio, Francesco Maccarinelli, Valerio Santi, Sergio Mascherpa
regia Fabio Grossi
Evento della rassegna Teatro Pubblico Campano
Teatro Massimo di Benevento