Dalle sabbie del deserto di Marrakech alle gole di Roncisvalle con Mimmo Cuticchio
Il “Cunto” nella sua accezione più vetusta e colta rivive sul palco del Centro Zo per Altrescene Preview, rassegna di eccellenza, nella voce e nel gesto arcaico del maggiore dei cantastorie viventi. Sala gremita e applausi intensi per una voce senza tempo. Mimmo Cuticchio, figura imponente e ieratica, entra a scena nuda con familiarità quasi dimessa e al tempo stesso solenne. Vestito grigio, barba e capelli lunghi e grigi, volto scavato e pregnante, icona del teatro di tradizione popolare. In mano tiene un involto rosso da cui, dopo un interessante premessa colloquiale sulla scoperta di un Giufà magrebino nella Medina di Marrakech, sfodera la sua spada di legno, evocatrice di eredità iniziatica del maestro Peppino Celano, che sguainerà nell’epico “cunto” più drammatico del suo vasto repertorio: “La disfatta di Roncisvalle e la morte di Orlando”.
Accompagnato dal ritmo del piede e della spada, scabro e possente guerriero di tante battaglie culturali, il puparo palermitano ci avvolge nell’abbraccio di una narrazione che man mano diviene sempre più drammatica, svelando i retroscena della disfatta leggendaria della retroguardia dei cavalieri di Carlo Magno, traditi dal perfido Gano di Magonza in combutta con i nemici. Caduti nel tranello da lui ordito, i più valenti guerrieri carolingi, Rinaldo, Oliviero, Orlando, periranno valorosamente, dando un fulgido esempio di coraggio e lealtà. L’enfasi narrativa, scandita dal sincopato della voce, dalla percussione del piede e della spada, sospinge all’indignazione per il tradimento e alla pietà davanti allo scempio dei valorosi. Cuticchio impera in scena con energia affabulatrice, sostenuto dalla tensione del corpo. Nei suoi racconti, al di là del tessuto medievale dei Paladini di Francia e delle loro eroiche imprese, parla dell’amore, dei diritti, del rispetto per gli anziani e i diversi. In lui rivive la tradizione del “cunto” che ci riporta dagli antenati di Omero, dei rapsodi, dei griot, alle propaggini dell’esperienza narrativa, in una fascinazione che non conosce tempo. Perchè? Perché la vita ce la raccontiamo per sostenere e condividere ciò che da soli può diventare insostenibile. Questo i nostri avi lo sapevano bene e noi non possiamo che ringraziare Mimmo Cuticchio e tutti coloro che onorano la tradizione del racconto, tenendo vivo questo fuoco che scalda “l’insostenibile leggerezza” kunderiana delle nostre esistenze.
A SINGOLAR TENZONE
Di e con Mimmo Cuticchio
Al Centro Zo di Catania