In viaggio con Bernardo. La scomparsa di Bertolucci
Di fronte all’improvvida scomparsa di Bernardo Bertolucci, a costo di piombare nel più vieto rendiconto, dico senza esitazione: “Io lo conoscevo bene”. Tengo da parte come una reliquia da oltre quarant’anni una vecchia foto ove, nel parco Maria Luigia di Parma, figura, appunto, Bernardo Bertolucci intento a sbocconcellare un panino mentre di fronte a lui, quasi implorante o semplicemente curioso, io stesso lo guardo in attesa trepidante. Sullo sfondo dell’immagine intiera compare poi un tale a cavalcioni di una scala (per la precisione Morando Morandini) singolarmente soffuso di una specie di mistica aureola. Questo l’incidentale incipit della mia assidua consuetudine amicale-professionale dislocata nel contesto evidente della gestazione dell’esordio (in effetti il più compiuto lungometraggio dopo l’esitante debutto con La commare secca) Prima della rivoluzione.
Da quell’iniziale incontro (per l’esattezza, nel 1963) originato appunto da Prima della rivoluzione, interpretato anche dal già detto Morandini, si stabilì via via con il passare dei tempi e dei film, una pressoché ininterrotta frequentazione. Anche perché, oltre l’ovvia continuità del rapporto tra il mio mestiere di giornalista e quello del cineasta Bertolucci prese presto la pratica consuetudine di una crescente amicizia. Si registrano così progressive occasioni di incontro giusto cadenzate dai primi film intrisi di complessi, enigmatici spunti tematici. Inframmezzati a lavori di convenzionale ispirazione documentaristica (La via del petrolio, Amore e rabbia) emergono per originalità stilistica ed ermetismo poetico i cosiddetti “film-Miura” (nel senso di cose piuttosto ostiche come gli indocili tori così definiti Miura) insieme all’amico collega brasiliano Glauber Rocha veri e propri ballon d’essai di un cinema risolutamente trasgressivo di regole e pendenze d’ogni sorta.
Poi nel 1970, Il conformista segnò la svolta di un tracciato creativo del tutto nuovo. L’impegno civile e, ancor più, la riflessione circostanziata sul recente e non acquietato passato del periodo fascista e le ambiguità borghesi mischiate ad inquietudini sentimentali, aprirono presto la strada verso un cimento davvero epocale: parliamo del controverso Ultimo tango a Parigi e, in ispecie, dell’imponente Novecento autentico spartiacque tra la produzione bertolucciana degli inizi e la successiva incursione nei più sottili disegni narrativi dei decenni successivi: L’ultimo imperatore, Il tè nel deserto, Il piccolo Buddha, Io ballo da sola, fino ai più ravvicinati L’assedio e i concisi racconti intimistici: da The dreamers a I sognatori e Io e te.
In quest’arco di tempo, puntualmente il mio sodalizio ideale con il cinema di Bertolucci si rinsaldò ancor più. Non tanto per una vicinanza fisica tutta problematica per le nostre diverse dislocazioni, ma per una quasi meccanica coincidenza di esperienze, slanci civili, ideali costantemente coltivati sia nei rispettivi impegni, sia nella nostra comune consequenzialità etica. In tale scelta esistenziale, confortati entrambi dalla affettuosa presenza del fratello Giuseppe, anch’egli cineasta di valore (Abcinema, Amori in corso, Berlinguer ti voglio bene, Oggetti smarriti ecc.).
Certo, la scomparsa di Bernardo costituisce un lutto troppo grave per poter ripensare a lui, al suo cinema, alla sua vita esclusivamente come l’interruzione brutale di una vicenda discriminante del cinema di ogni tempo. Ciò che è venuto a mancare in realtà è un mondo, un modo di essere tipico del carattere nobile, della personalità spiccata di un grande maestro. Tempo fa, negli anni Settanta, partecipando alla stesura del volume collettaneo In viaggio con Bernardo avemmo a scrivere una perorazione appassionata sull’importante lungometraggio Novecento, forse l’opera più significativa di tale e tanto cineasta. Non a caso considerata per giudizio unanime un capolavoro. Anche se a guardar bene l’autentico capolavoro di Bertolucci risulta la sua irriducibile passione poetica. Di tutto ciò siamo oggi privati per sempre e sempre. Addio Bernardo. E grazie del prodigo viatico che ci lasci: l’inimitabile tuo cinema.