Si sta per concludere la Rassegna al Teatro di Roma- Riflettiamone con il curatore
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Non aspira ad alcuna ‘samaritana normalizzazione’, all’ipocrita bon ton delle par condicio ‘al caviale’, endemiche di certe false ‘ouverture’ civili, antropologiche, germinanti nei salotti-bene di una Capitale, sempre più simile al versante triviale, irreale, caotico, sguaiato di una ‘grande bellezza’ che forse sta di casa nell’illusoria fantasia di qualche piccolo-provinciale (ma piccolo e gramo davvero) giunto in Urbe ancora persuaso che la città sia sempre accogliente,cosmopolita, esplorabile nel senso più eccitante del termine.
A ridimensionare luoghi comuni, falsi miti libertari e disinibizione (salvo disporre di un portafogli capace di ‘comprare’ brandelli di trasgressione fittizia, post-felliniana) contribuiscono, indirettamente, imprescindibili ‘focus’ teatrali quali la Rassegna del Garofano Verde, alla sua ventunesima edizione, ideata e diretta da Rodolfo Di Giammarco (critico de “La Repubblica”), ed in corso di svolgimento nell’ampia, prestigiosa platea del Teatro Argentina, messo a disposizione degli organizzatori proprio in ragione del sempre più striminzito budget attuativo di una manifestazione tra le più antiche e prestigiose nell’ambito delle tematiche omosessuali e non- comunque legate (alla loro radice d’ispirazione creativa e drammaturgica) al prismatico inferno del disagio sessuale (quindi, al disturbo di personalità, alla tanto strombazzata ‘salute mentale’ che è diritto comune) acuito dalla crisi economica e dall’invisibile ‘guerra’ tra poveri e ‘diversi’ (da chi?) messa in moto dai nuovi meccanismi di rigetto ed emarginazione dell’incapiente, del destabilizzato, del clochard suo malgrado.
Proviamo a riflettere insieme a Di Giammarco, lieto e spossato da tanta, ripagata fatica di Sisifo, anno dopo anno.
“Inizierei da “Sconosciuti”, titolo di un utilissimo, documentato studio di Graham Robb sull’omoses-sualità maschile e femminile nell’Ottocento puritano e quindi di Oscar Wilde , donde emerge, sorprendentemente, una storia fatta, sì, di segretezza e oppressione, ma anche di tolleranza e familiarità inaspettate, con cultura gay libera e orgogliosa (tranne che in Gran Bretagna, ‘pour cause’), con coscienze consapevoli e sofisticate. Ma se sono sconosciuti quei trascorsi aspetti civili di anti-apartheid in materia di gender, di inclinazioni, è perché noi del terzo millennio conosciamo solo lotte, pregiudizi, discriminazioni, condanne e tolleranze ‘di facciata’ nei riguardi di un’identità considerata -tra ignoranza e voluto dileggio- un problema, un divario, una sorta di’ deregulation’ ai danni di una presunta normalità tale da rischiare d’alimentare focolai, come ce ne sono tanti, non solo di razzismi sociali ma anche di violenze ai danni di singoli”.
Comprensibile, condivisibile quanto sia snervante, deleterio dovere ‘argomentare’ su principi e prassi di vita che sembravano (penso alla generazione mia e del curatore Di Giammarco, la medesima, quella che era ragazza ai tempi del maggio francese) assodati approdi culturali, esistenziali, antropologici. Argomenti, per orientamenti, manifesti di vita, intelletto, libero arbitrio che non conosceva (solo utopia?) steccati fra etero, omo, trans gender, queer- ma che tutto assemblava non in quelli che i detrattori definivano ‘una carnevalata’, ma un sistema ‘insurrezionale’, ‘senza cavezza e paraocchi’ di guardare al mondo: specie a quello non conosciuto
“Garofano Verde – Scenari di teatro omosessuale- afferma Di Giammarco- è una manifestazione che si serve del sapere della scena, e della forza espressiva di autori, attori e registi, per candidare permanentemente a cartellone, a calendario di appuntamenti, una serie di spettacoli, mise en espace, letture e risorse comunque teatrali che non alzino mai la voce, ma parlino dei sentimenti , dei problemi, delle risorse, delle ingiustizie, delle bellezze non estetizzanti, non dette di esistenze reali che rifiutano ogni ghetto, ogni élitarismo, ogni clubbistica classificazione, ogni stupida caricatura, ogni deleterio sospetto di mentalità non ortodossa in quanto fuori dal mucchio.Che, come sappiamo, è spesso selvaggio e aggressivamente aggregativo: specie nella disgregazione delle sterminate metropoli.
In sintesi, qual è la storia del vostro operare?
“Nei vent’anni scorsi abbiamo ininterrottamente conosciuto il dialogo, l’apprezza-mento, il sostegno del Comune di Roma, ma quest’anno il Garofano Verde, organizzato dalla Società per Attori, è stato considerato, alla luce dei parametri applicati da un nuovo bando comunale, una ‘manifestazione storica non finanziabile’, mentre s’è andata in corrispondenza rafforzando la mano tesa istituzionale ad opera del Teatro di Roma che già nel giugno 2013 aveva ospitato e contribuito a un’anteprima di libere letture sullo ‘sperone’ montato nella platea dell’ Argentina. Sinergia tradottasi nel giugno scorso in un’ulteriore settimana di programmazione anticipatoria della XXI edizione della rassegna. Una conoscenza, va detto, che il neo-direttore artistico dello stabile romano Antonio Calbi ha da subito tenuto a riconfermare e a rilanciare, contribuendo con tre serate di spettacoli del vero e proprio ‘Garofano Verde 2014’ che – con nostro orgoglio- aprono la nuova stagione dello stesso Teatro. Questa fiducia, questa visibilità, questa condivisione da parte di un organismo prestigioso della scena pubblica della Capitale, quindi della scena italiana, ci ripagano di una coerenza culturale e sociale, in un Paese che stenta ancora a rendersi conto del peso dei pregiudizi attinenti l’omofobia, un Paese in cui giace da anni ignorata una proposta di legge volta a considerare e a punire più severamente ogni violenza di origine omofobica”.
Sappiamo che ‘Garofano Verde’ sta valutando una modalità di monitoraggio e di tutela di spettacoli a tema omosessuale brevettando, dalla stagione 2014-15, il marchio “Segnalato da…”….
“Le tre serate in programma all’Argentina ci faranno conoscere tre approcci artistici, tre storie simboliche o reali, tre trattamenti dell’emozione, e tre meccanismi drammaturgici, relativi alla libertà o all’intolleranza in materia di scelte libere di vita, nei nostri tempi. La Compagnia Vucciria Teatro, una formazione del 2012 scoppiata da noi e anche oltreoceano, a San Diego, col suo bagaglio di lingua siciliano-italiana, e con le radici di uno studio umano che accosta l’isolamento intimo a quello territoriale, propone “Io, mai niente con nessuno avevo fatto” di Joele Anastasi (anche regista e co-interprete con Enrico Sortino e Federica Carruba Toscano, n.d.r.), un dramma di tre voci che scavano nell’ingenuità e nella passione, nell’istinto di un universo popolare, nella poesia dura e ingrata di omosessualità, violenza e malattia sullo sfondo di un panorama palermitano senza filtri.
Sotto l’egida di Teatri Uniti, “Birre e rivelazioni” di Tony Laudadio è un atto unico’ in otto birre’ scritto appositamente per la rassegna, con un confronto progressivo e scomodo tra due adulti, Roberto De Francesco e Andrea Renzi, che parlano di uno stesso giovane, amato in modo istintivamente paterno da uno dei due e entrato nella sfera affettiva del docente che va a trovare il genitore del ragazzo nel pub da lui gestito, dando luogo a otto stazioni di dialogo con svelamento e coinvolgimento. Irrompe poi lo squarcio di vita di un fatto di cronaca riletto, riscritto, adattato al teatro, qual è “Un bacio” che Ivan Cotroneo ha elaborato scenicamente per la voce di Iaia Forte (nella foto), consegnandole un po’ il ruolo arbitro dei due personaggi che diventarono protagonisti nel 2008, in un liceo californiano, di un avvenimento a tinte molto oscure, con omicidio ai danni di un ragazzo quindicenne ucciso da un suo coetaneo che non ne accettò il corteggiamento, attribuendo un compito testimoniale al terzo punto di vista di una professoressa in stretta relazione con i due adolescenti”.
Un denominatore comune?
“Tre serate che pigiano tasti molto diversi: l’urlo pulsante di chi è condannato a dire, la dialettica minuta e allusiva di chi vuole dire e di chi non vuol sentir dire, e la prognosi dello scandalo del dire e dell’assassinio del dire con testimonianze scisse a futura memoria” (*articolo21)
-In alto, un primo piano di Jaia Forte