Al Teatro Brancaccio di Roma
“Shakespeare in love” nella versione di G. Solari
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- Finalmente uno spettacolo che mantiene quel che promette: un tripudio, non ostentato, men che mai sfarzoso, di spettacolarità protoromantica, ad alto budget di produzione, cui il pubblico risponde con plausibile entusiasmo. Specie, e per fortuna, quello giovanile, che alle vicende umane ed artistiche (alle mirabilia drammaturgiche e poetiche del Bardo) è ancora in via di assimilazione e svezzamento. Tanto che vien da pensare: fosse questo l’approccio migliore, l’invito alla lettura indiretto ma assoluto dei “Sonetti”?
- In uno “Shakespeare in love” che, traendo pretesto da una ipotetica (sublime e sfortunata) parentesi amorosa dello scrittore, afferma il suo “essere” lo scopo precipuo di uno spettacolo robusto, dianamicissimo, sontuoso, non baldanzoso, non guascone : messo doviziosamente in scena da Giampiero Solari, con la collaborazione di Bruno Fornasari, e sulla limpida traccia traduttiva di Edoardo Erba. Nella quale sembrano stemperarsi alcune riserve di fondo che accompagnarono l’esordio cinematografico dell’opera (“vivacemente e gloriosamente inutile” secondo Franco La Polla), in quel caso polarizzata dalla meticolosa vistosità dell’impianto scenografico e dalla ‘accelelerazione\esagitazione’ degli elementi melodrammatici che, come ovvio che sia, stanno alla basa (biografica o no) di quel che poi sarà il copione di “Romeo e “Giulietta”. Propedeutico, in questa millimetrata messinscena, al distillarsi subliminale delle pene amorose del giovane William, del successivo e meno celebrato “La dodicesima notte” . Laddove l’immagine della fanciulla vanamente desiderata assumerà sembianze lenitive, distanziate, orientaleggianti sino ai confini della fiaba, della magia, dell’incantesimo d’Oriente.
- Di scena al Teatro Brancaccio, a inizio di una tournée che, anche per il prossimo anno, toccherà tante città italiane “Shakespeare in love” ha inizio proprio mentre l’autore vaga nelle strade londinesi di età elisabettiana, in cerca di ispirazione e di sostentamento: per se stesso e per la sua compagnia. E qui va detto che la scrittura di Stoppard e Marc Norman colgono perfettamente ciò che di pittorico e di (imprevedibilmente) post moderno già sussiste tra i fautori del Globe Theatre: in termini di invenzione “libera e sovrana” (nonostante è ai sovrani che essi si rivolgono per trarre “liberatorie” ad esistere). Da cui: scambi anarcoidi tra realtà e finzione, vorticosi antifrasi e burrascosi rapporti con pubblico, impresari sciacalli, imposture di identità e perentorio divieto alle donne (di qualsiasi rango) di calcare le scene. Passione da cui è invece animata l’aristocratica Viola (già promessa sposa di uno scostante dignitario di corte), che si camuffa da uomo proprio perché animata da platonico amore per le “creature” dello bello e aitante Will; e nelle vesti di Thomas Kent, partecipare alle audizioni per la rappresentazione del nuovo canovaccio che l’autore-regista sta per mettere in scena.
- E’ ovvio: non mancano le concessioni all’intrattenimento sagace, malizioso, goliardico come quando
- William insegna a Viola\ Thomas Kent, “come si baciano le donne”. Ed evocativo (anche per noi) di giovanili notti veronesi è il momento in cui Shakespeare si arrampica sul fatidico balcone per “esultare” la sua amata con versi in rima, e in complicità con l’amico e rivale Christopher Marlowe ‘suggeritore’ occasionale del flautato declamatore.
- Aspirando all’ “universalità poetica” nel tragico compimento di “Romeo e Giulietta”, lo spettacolo risulta in ogni caso un fluidissimo, affascinante gioco ad incastro di poliedrici interpreti, grandi quinte semoventi, quasi totale assenza di ‘scorciatoie’ verso la ‘riproduzione’ tecnologica (diapositive e animazioni filmiche, tranne nella sequenza del Tamigi notturno). Mentre alla lussuosità della messinscena londinese subentra qui un’imponente ma a suo modo ‘compostissima’ narrazione dell’arte del teatro, nel (e del) suo farsi e disfarsi, sino al crepacuore (sempre tenuto per sé stessi) di chi, nonostante tutto, sa che la ‘cerimonia’ dovrà andare avanti. Come se nulla fosse accaduto, e le arterie del cuore sanguinassero senza dare soddisfazione a chi vorrebbe commiserare.
- Ps Elogio a parte per i due protagonisti: la bella poliedrica, vanamente indomita Lucia Lavia, ammirata per caparbietà, e ars amandi. Non è da meno Marco De Gaudio, nel ruolo di William, forte di una rara somiglianza fisica con Joseph Fiennes che fu protagonista (con Gwineth Paltrow ) del film di John Madden, omaggiato di 7 Oscar nel 1999.
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- Shakespeare in love
- dalla sceneggiatura di Marc Norman & Tom Stoppard. Traduzione: Edoardo Erba.
- Cast artistico: Lucia Lavia e Marco De Gaudio e con Lisa Angelillo, Stefano Annoni, Luigi Aquilino, Roberta Azzarone, Michele Bernardi, Lorenzo Carmagnini, Michele De Paola, Nicolò Giacalone, Carlo Amleto Giammusso, Rosa Leo Servidio, Pietro Masotti, Giuseppe Palasciano, Edoardo Rivoira, Alessandro Savarese, Giuseppe Scoditti, Filippo Usellini, Daniele Vagnozzi, Gulliver.
- Scene: Patrizia Bocconi. Costumi: Erika Carretta. Direzione musicale: Matteo Castelli. Regia: Giampiero Solari e Bruno Fornasari (regista associato).
- Produzione: Alessandro Longobardi per Officine del Teatro Italiano. Teatro Brancaccio di Roma dal 24 all’11 novembre
- Tournée del 2018
- Teatro Cilea di Napoli dal 22 al 25 novembre, Teatro Alfieri di Torino dal 29 novembre al 2 dicembre, Teatro Verdi di Padova dal 6 al 9 dicembre