La memoria
PER SUSO CECCHI D’AMICO
A cento anni dalla nascita- La vera ‘co-autrice’ di tantol cinema italiano
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Ricordare i 100 anni della nascita di Suso Cecchi d’Amico(31 luglio 1914),scrittrice di cinema,scomparsa nel 2010, significa attraversarne almeno 60 di storia del cinema italiano. Dal 1946,esordio con “Mio figlio professore” di Castellani, le principali correnti cinematografiche italiane sono state segnate dal suo immenso lavoro. Basti citare “Ladri di biciclette”,’48,di Vittorio De Sica per il Neorealismo;”Senso”, ’54, di Luchino Visconti, per il Neorealismo che diventava Realismo; “Le amiche”,’55, di Michelangelo Antonioni, capitolo fondamentale per analizzare il passaggio alla poetica dell’incomunicabilità del maestro ferrarese; ”I soliti ignoti”, di Mario Monicelli,’58, film d’esordio della Commedia all’italiana; ”Salvatore Giuliano”, ’62, di Francesco Rosi, paradigma mondiale del cinema d’impegno e soprattutto di analisi sociologica e antropologica; ”Pinocchio”,’72, di Luigi Comencini, geniale e insuperato adattamento televisivo e cinematografico del capolavoro collodiano.
A questo punto, sorge spontaneo chiedersi come abbia fatto la Cecchi d’Amico a condividere poetiche così diverse senza scadere mai nel cosiddetto lavoro di gregario cui per molto tempo qualcuno ha relegato il lavoro dello sceneggiatore. Insieme a Cesare Zavattini, Franco Solinas, Ennio Flaiano, Sergio Amidei, Age e Scarpelli, Tonino Guerra, solo per citare alcuni fra i più grandi, Suso Cecchi d’Amico ha (ri)disegnato la geografia dello scrittore di cinema. Per suo stesso dire: “Lo sceneggiatore non è uno scrittore; è un cineasta e, come tale, non deve rincorrere le parole, bensì le immagini.Deve scrivere con gli occhi”.
Ne segue che se è vero che il regista mette in scena quanto scritto dallo sceneggiatore o soggettista, è altrettanto vero che quest’ultimo ha gia “visto” e messo sulla carta ciò che la cinepresa in seguito materializzerà. Il lavoro del cineasta-scrittore, dunque, è quello di entrare nella logica, nel mondo, nella poetica del regista per cui scrive e con cui collabora per regalare alla sua arte nuove idee e di conseguenza nuove immagini che ne fanno inevitabilmente il vero co-autore del film.
Molto più, ad esempio, del direttore della fotografia, che, con buona pace del pur grande Vittorio Storaro, non è che un fornitore di colori già scelti da qualcun altro. Onore dunque alla grandezza di questa giovane centenaria,sempre al passo con i tempi,e così modesta,lei sì, da non rivendicare mai alcuna autorialità, che per fortuna le è stata ampiamente riconosciuta nel 1994 con l’assegnazione del Leone d’oro alla carriera al Festival di Venezia e poi nel 2005 con una personale al Moma di New York.