Il mestiere del critico
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Note su “Oreretta Burlesca”, il nuovo spettacolo di Emma Dante
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Puntualizzava Emma Dante (durante un’intervista televisiva): “Questa mio modo di fare varietà è soprattutto uno spogliarello dell’anima”- ma, aggiungerei, di un pudore, verecondia, squisitezza nel fragore difficili da immaginare….. Con quel tanto di esasperato, capriccioso, infelice infantilismo che comporta la narrazione ‘disarmata’, festevole, impavidamente compulsiva di un ragazzo della provincia meridionale, tal Pietro, figlio unico, disadattato e con l’anima allo schianto’, come accade a chi vive nella sua condizione ‘fittizzia e avventizia’; addetto a una pompa di benzina, i cui unici sogni sono andare a fare shopping e a ballare il sabato in una propaggine di Napoli, popolata di falsi idoli, guappi e femmenielli.
Sempre alle prese,Pietro (quasi per una perpetua prova generale) a trasformare la sua squallida cameretta a ridosso della stazione di servizio in una frastornante, rumorosa balera ‘per individuo solo’ deriso e incompreso nelle sue pulsioni sessuali, non omologate alla categoria degli etero. “Bastasse una storia come questa, vera e inventata allo stesso tempo- aggiunge la regista- per scandire il mio sì: ben venga un teatro civile come questo, contribuire di fatto a chè in Italia si colmi l’inconcepibile ritardo nel riconoscimento delle unioni fra persone dello stesso sesso(anagrafico): che poi anche questo è un modo di dire, una convenzione anatomica per reprimere desideri e talenti”. Perche, alla fin fine, di sesso, eros, fantasie e dimensioni del desiderio ciascuno ha le sue, personalissime e non barattabili, non addomesticabili e tanto meno omologabili a quelle di un ‘mix ormonale’, un ‘genere’, una ‘tribù’ oltre la quale non avventurarsi.
Anima femminile in un corpo non suo, Pietro è del tutto sprovvisto di strumenti culturali, dialettici, aggressivi per reagire a chi osa schernirlo: elevandosi tuttavia a metafora di una lacerazione interiore, in cui cresce l’offuscata consapevolezza di una diversità che “reca sofferenza non in quanto tale, ma perché socialmente rigettata, al pari di una mostruosità genetica”. Indubbiamente Pietro vive in ambienti retrivi, devastati dall’ignoranza, dall’incuria ecologica, dalla legge del più forte. Ma siamo poi certi che in ambiente diverso, ‘più evoluto’ e apparentemente ‘più tollerante, disinibito’ le forme (e le autodifese) della normalità macho-anagrafica sarebbero meno cruente, strafottenti, rispettose della dignità della persona (di qualunque persona) per il solo fatto di essere venuta al mondo (‘in questo stramaledetto mondo’) dove non hai mai sollecitato nessuno per essere ammesso (‘a corte dei miracoli’?)
Carmine Marignola, che è attore storico del gruppo guidato da Emma Dante affonda la sua intensa prova attorale in un una ammirevole commistione di ingenuità e ostinazione , naturalismo scenico e onirico ‘svolazzo’ verso un universo che rasenta il cabaret straccione\espressionista, di forte carica emotiva e devastante (il comune, banale sentire). La scenografia, elementare ma icastica, dà risalto ad un’assemblea di bambole gonfiabili , appese sul fondo nero della scena, “feticci di un erotismo sublimato, tristi icone della mercificazione del corpo femminile” (come bene annotava Monica Schirru, all’anteprima dello spettacolo), in cui Pietro non può che riconoscersi. Addobbato, di lì in poi, di le piume e paillettes, simili ad un dispendio (felice) di energie oniriche, spalmate su un arcobaleno ‘da fiera e luminarie’ o le palline fluorescenti scagliate in scena da dietro le quinte, come in gioco di acrobazie mentali e posturali ove l’anima del ragazzo sfida ‘il mondo a lui estraneo’ come danzando leggiadro e maldstro su vertiginosi tacchi a spillo.
V’è un certo gusto proto-rinascimentale nel candore dei corpi, nella loro vita semi\amniotica suggerita dal disegno di luci firmato da Cristian Zucaro, come ad emendare di lordure e ‘florealità del male’ (Baudelaire) quel che nasce e si sviluppa quale percorso parallelo di una vita come tante, anonima e bistrattata come altre su cui non pesa la discriminazione sessuale. Con varianti e rivoli dell’inferno socio-familiare di cui Emma Dante ha sempre –coerentemente- inanellato tutto un rosario di aberrazioni prospicienti tanto l’avanspettacolo sguaiato, per militari quanto il più rigoroso teatro dell’assurdo, in una vorace commistione di ‘pietas’, grottesco, follia di cui “Le pulle”, “mPalermu”, “Carnezzeria” e l’insuperabile “Medea” sono tutt’ora pietre miliari della scena di ricerca a cavallo tra due millenni.
Come sempre, del resto, la (peculiare) scrittura scenica di Emma Dante assimila nel suo oleato ingranaggio di ‘sdoppiamenti e assimilazione’ personaggi ed attori abilissimi a destrutturarsi (e riassimilarsi) nei linguaggi dell’impasto dialettale, dalla pantomima ‘folle’, del ballo ‘scalcagnato’, ma nobilmente rimaneggiato alla lezione di Pina Bausch: quando musica e colori, movimenti ‘innaturali’ aumentano il loro tasso di tragicità, di frantumazione e ‘resa’ ad una ressa di ‘inverati ricordi’ -in cui baci rubati e abbracci reiterati recano il ricordo di quel “Caffè Muller” di cui nessuno potrà osare infrangere l’insegna, anzi la saracinesca dei ‘preziosissimi mondi incorporei’ di cui è idealmente abitato-e di notte animato come museo delle più sacre, amate ombre.
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“Operetta Burlesca” drammaturgia, ideazione, regia di Emma Dante. Con Viola Carinci, Roberto Galbo, Francesco Guida, Carmine Maringola. Testo, regia, scene e costumi di Emma Dante. Luci di Cristian Zucaro, coreografie di Davide Celona – Produzione Sud Costa Occidentale – Festival delle Colline Torinesi -Focus Creazione Contemporanea (allestimento in ripresa da novembre)