VENEZIA 75 / I Classici Restaurati / Attardarsi a Venezia, al Lido il capolavoro di Visconti

VENEZIA 75 / I Classici Restaurati / Attardarsi a Venezia, al Lido il capolavoro di Visconti

 

LIDO DI VENEZIA (dal nostro inviato) – Nella tarda estate del 1911, un illustre musicista asburgico, reduce da gravi lutti familiari, giunge a Venezia per tentare di profondere alla sua vita una sorta di oblio subliminale, passivo, dimentico di sé, nella sostanziale certezza che il suo tempo si sia ormai compiuto, dirigendosi verso il Lido a bordo di un traghetto memore dell’acqua di Stige, animato da un individuo squillante, truccato in modo sconcio con la bocca a cuoricino. La città è in preda a una latente epidemia di colera che le civiche autorità tentano di tener nascosta per difendere il buon nome del suo turismo d’élite e gli ultimi scampoli di villeggianti, dimoranti fra la spiaggia e grandi hotel, noncuranti dello scirocco e del caldo umidiccio.

Inquieto, vibratile, insofferente ma sofferente in ogni sfumatura del ‘mal de vivre’, il musicista è vieppiù attratto dalla bellezza androgina di un giovinetto – Tazdo – ospite del Des Bains insieme all’altolocata famiglia (tutta al femminile) e una inflessibile nutrice-detentrice “delle redini di casa”. Turbato, probabilmente intimorito dall’incontro efebico (comunque limitato ad una sfibrata ammirazione in lontananza, sotto un bianco ombrellone di spiaggia), a disagio ed esasperato dagli insistenti formalismi della magione ospitante, von Aschenbach (il musicista) tenterà la fuga “verso la terraferma” (verso un indeterminato “altrove”) approssimandosi su una gondola alla stazione ferroviaria.

Ma resterà, tornerà sui suoi passi e dinanzi al Tazdo ‘danzante’ (in un baluginare di malesseri cardiaci e offuscate proiezioni di un desiderio represso) si compirà quel “gusto della capitolazione” che è assonanza con l’autoprofezia elaborata e meticolosamente attuata(si).

Elegia o de profundis di un (diverso) “mondo di ieri” (Zweig), che Visconti ebbe modo di conoscere e amare negli anni dell’adolescenza dorata, nobiliare, privilegiata, l’opera (14^ della sua filmografia) vive dell’identificazione stremata, sommessa, impetuosa fra autore e personaggio; fra scrittura filmica e cesellata (sobria) traslazione di quella letteraria, desunta com’è noto da un breve racconto di Thomas Mann (pubblicato nello stesso volumetto di “Mario e il mago”), qui dilatato, rallentato, ‘narcotizzato’ in sequenze di sobrio amor proprio, decadente, visionario mai commiserante.

Concepito agli inizi degli anni settanta, con l’ausilio dello sceneggiatore Nicola Badalucco (e la ‘ritirata’ firma di Suso Cecchi D’Amico) – quindi al tempo in cui Visconti era totalmente assorbito dal progetto di dare “immagini, dialoghi, sceneggiatura” alla “Recherche” proustiana (“un’impresa per brevi sequenze, intermittenze, stati d’animo…difficile ma fattibile” dichiarò) – “Morte a Venezia” tragitta – di quel mondo – un irripetibile sentimento di confidenza, distacco, accettazione stoico-liberatoria, anti-tragica contigua al principio di decadenza corporale, e liberatoria indifferenza alla morte. Laddove l’incombenza dei luttuosi ricordi (la morte della figlioletta, e poi della cara moglie), l’uso parco e sapiente dei flashback, la solenne musicalità di Mahler (di cui von Aschenbach è palese emanazione, senza apparentare minimamente il film a “La perdizione” di Ken Russell) tornano a “ribadire” i temi, le magnifiche ossessioni dell’opera viscontiana. Dalla scabra nostalgia per un “certain regard” del passato allo struggimento di un eros poco dionisiaco, tuttavia nomade e potenzialmente predatorio, al cospetto della Bellezza “che inchioda” (nelle sue sembianze contingenti e transitorie) e che, a chiusura di partita, restituiamo amaramente ai luoghi e persone che ci ospitarono.

Sino alla falsa coscienza dell’artista e dell’intellettuale dinanzi alle enunciazioni di invulnerabilità e scetticismo che, distrattamente, si sparpagliano ‘strada facendo’, mentre la visione controluce scioglie il trucco sul viso e induce un sopore ferale, sulle note stremate dell’Adagietto.

 

PS: L’elogio motivato e non retorico dell’immenso protagonista Dirk Bogarde e di tutti gli insostituibili comprimari, da Romolo Valli a Silvana Mangano da Franco Fabrizi a Nora Ricci-e del magistrale contributo artistico di fotografia, montaggio, costumi, ambientazione comporterebbe un articolo a se stante…

 

SCHEDA FILM

 

MORTE A VENEZIA

Regia: Luchino Visconti
Produzione: Alfa Cinematografica, Warner Bros., Production Editions Cinématographiques Françaises
Durata: 130’
Lingua: inglese
Paesi: Italia, Francia, Usa
Anno: 1971
Interpreti: Dirk Bogarde, Romolo Valli, Marisa Berenson, Carole André, Björn Andrésen, Silvana Mangano, Franco Fabrizi, Leslie French
Sceneggiatura: Luchino Visconti, Nicola Badalucco
Fotografia: Pasquale De Santis
Montaggio: Ruggero Mastroianni
Scenografia: Ferdinando Scarfiotti
Costumi: Piero Tosi
Restauro: Cineteca di Bologna, Istituto Luce – Cinecittà