Corso Mazzini di sera negli anni ’60. Un ritratto di Cosenza
Corso Mazzini di sera negli anni del boom, in una foto rara pubblicata due anni fa da Stefano Pasqua, che ritrae il segmento centrale della principale strada cosentina a metà strada dal municipio, la fontana di Giugno, l’edicola “Permesso”, la salsamenteria Spena, la Libreria Cianflone, i negozi di Scola e di Redavide Gallo, il Bar Desa, la Singer, il Supercinema e l’Astra a sud e dall’atra parte il Bar Gatto, il Bar Manna, l’edicola di Ninnuzzo Turco, il Palazzo degli Uffici, i negozi di Mazzocca, Orrico, Pasqua, Forgione, non più il Cinema Aurora a nord. Le luci e le grandi insegne fanno pensare quasi ad una città vivace, dinamica, in cui ferve un gran movimento, ricca, “affluent”, che invita al consumo, internazionale, insomma molto di più di ciò che era in effetti Cosenza, immersa per larga parte in un prolungato, interminabile dopoguerra.
È come se dalla fotografia trasparisse la sua anima americana, poichè da emigrati di ritorno d’oltreoceano e con le loro risorse nei primi decenni del Novecento nacque il corso in pianura, lontano dal centro storico arroccato sui colli. L’insegna dell’Alitalia richiama viaggi per pochi e vacanze allora inusuali, la Standa e Bertucci, ovvero il grande magazzino di catena e quello autoctono, i bar, non ancora il Pop che sorgerà nel ’71, i negozi di mobili, casalinghi, tendaggi, abbigliamento, scarpe, giocattoli, la Libreria Mondadori e la bancarella di libri di Via del Tembien, la rosticceria Mocambo. Tutto, tranne un ristorante perchè i cosentini all’epoca e per molto tempo ancora, a causa di una fobia davvero arcaica non amavano farsi vedere nell’atto di desinare in un locale pubblico.
È così in effetti che è rimasta impressa indelebilmente nella nostra memoria di babyboomers quale copertina ideale di un’epoca che coincide con la nostra infanzia e che oggi ci sembra un Eden perduto e non solo per motivi nostalgici. Da Cosenza, fermamente intenzionato a nuotare in un mare più ampio andai via a metà degli anni ’70, altri più insofferenti, ne sono letteralmente fuggiti, senza mai più farvi ritorno, se non per poche ore ogni anno, nelle feste più importanti. Chissà cosa penserebbero ora della loro città natale, un tempo sonnacchiosa e deserta di notte, oggi in preda ad una frenetica movida, allora “Atene del Sud” per autoproclamazione, oggi impegnata ad inventarsi un’improbabile grandeur, allora dimessa e dignitosa, oggi più kitsch, “in mostra”, sfigurata da interventi “estetistici” di pessimo gusto nei quartieri-vetrina, povera e al pari di buona parte dell’Italia, più degradata nelle zone periferiche. Ma se pure si può andar via da Cosenza, destino di tante generazioni per scelta deliberata o loro malgrado per destino subìto, come diceva Flaiano “l’infanzia è l’unico posto dal quale non riusciamo mai a fuggire”.