Teatro Tordinona, Roma
Pulcinella e la notte stellata
di Renato Giordano Regia dell’Autore
Con Renato Giordano e Maria Elena Pepi (contralto)
Il Brano musicale Serenata a Pulcinella è di Vito Ranucci e Renato Giordano.
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Fabulazione, comicità, scrittura sono gli elementi che costituisconoe la breve messinscena (atto unico) di Pulcinella e la notte stellata, in cui Renato Giordano, autore, regista e interprete nel ruolo di un Pulcinella malinconico e diabetico, esibisce una passione verso Colombina, interpretata da Maria Elena Pepi (contralto), la quale col suo canto ampio ed esteso, crea un’alchimia musicale di canto come elemento portatore di coscienza e forza terapeutica.
Il testo racconta il “canto finale”, l’ultima notte stellata vissuta dall’estroso Pulcinella, che dopo una serata passata a bere e a mangiare maccheroni in osteria, preso da miraggi post prandiali e strambe idee, si reca impudente sotto il balcone di Colombina per infiorettarle etiliche avances.
“Versatilità” è la parola chiave che permette di comprendere – in maniera il più possibile esaustiva – le modalità di scrittura teatrale di Renato Giordano, dove l’accostamento di aspetti spesso incompatibili tra di loro sembrano essere una delle caratteristiche peculiari.
In quest’ottica “Pulcinella e la notte Stellata” non può che essere, nell’esaustivo lavoro di Giordano, l’espressione di un continuo percorso di teatro all’italiana trasmissibile in “terapia-clinica” grazie alle metodiche del suo Theatrical based Medicine: progetto attuato per esorcizzare l’esteriorizzazione curativa della malattia attraverso una scienza capace di interpretare la realtà sintomalogica e i segni che la esprimono. Metodo centrato, nella sua sostanza, in uno scambio costante tra parole e cose e, soprattutto, in una interscambiabilità di terapia e cura- fra “medico, paziente e malattia” simili ad agenti personificanti che interloquiscono vicendevolmente.
Nel recente allestimento del Tordinona scopriamo quindi l’esistenza (difficile) di un “Pulcinella diabetico” ed una Colombina che, con il suo canto lirico-poetico, illumina il ricordo di una notte trapunta di stelle, come intramontabile chiave di lettura da ricercarsi nella mutevolezza di linguaggio e brani musicali.
Il risultato è un riedificato pastello scenico in cui Giordano/Pulcinella, tormentato da vaghi desideri, entra in una dimensione irreale e ci conduce nel libero dominio della fantasia, dove la fabulazione e la comicità rivelano una scrittura intrisa di passioni, concentrata sullo sdoppiamento fra ‘dentro e fuori’ (la patologia), tra apparenza e realtà, dato che l’assunto di partenza – il tema del doppio parodico, l’ambivalenza tra la maschera e il volto – non è che un assunto paradossale.
La struttura dialogica tra i due interpreti, costituita dalla passione comica, si estrinseca tra recitazione, mimica e canto. Giordano con la casacca e calzoni bianchi indossa la tradizionale maschera di ‘pazzia amorosa’ sovrapposta alla ‘naturale’ somatica del volto. Questa sua esteriorità (comica) ingloba un mero simulacro di maschera il cui linguaggio dialettale mima un continuo gioco di lazzi stravaganti, suadenti bramosie e smodatezze.
Ciò dà vantaggio all’espressività dell’ilaro-commedia, alla recitazione e metafore messe in gioco da voce e controcanto. Il volto di Giordano, inizialmente è un volto di maschera, per il semplice motivo che lo spettacolo ingloba la ‘totalità’ della presenza fisica del Pulcinella diabetico.
Ma Giordano (che medico lo è di suo, sin da giovane), tolta la maschera si “smaschera” dalle passioni nella loro forma simulata; lo fa attraverso una scienza di semantica scenica capace di interpretare e controllare la metafora principale di questo suo far teatro e di tutto il ritualismo che ci sta dietro: onde esprimere qualcos’altro, non tanto per far ridere, – anche se porge sorrisi aerei e gioiosi – quanto per ‘istruire’ chi non vive (per ora) l’esperienza del ‘paziente’ conclamato…di qualsivoglia patologia.
“Terapeuta e teatrante”, l’autore elabora un triplo salto della pantomima pulcinellesca, per tornare a mimare una sintomalogia essenziale, dinamica e curativa, tenendo presente – come gioco scenico – le “pluriteorie” delle passioni umane. Di ogni ordine e grado.