Se non è “Fama” è “Fame”…
Delizioso monologo di una effervescente e dotata attrice del nostro teatro contemporaneo, “Morir di Fama” si alloca nella migliore tradizione del Cabaret, sterzando arditamente in uno slalom dolce-amaro di autoironia tra le vicende professionali, familiari, umane di Evelyn Famà, maschera infaticabile, evocativa della Commedia dell’Arte, autrice e interprete del testo pluripremiato in scena da un decennio, che semina risate tra il pubblico, travolto dalla sua irresistibile mimica facciale, dalla esperita gestualità, innervata nella migliore tradizione della comicità che passa da Charlot per sfiorare Dario Fo e il suo grammelot, pervenendo a uno stile personale, ricco di sfaccettature polisemiche, strutturate dalla regia attenta ad assecondare tanta energia con ritmi vivaci e variegati.
L’attrice si mette a nudo, pur se in coatto abbigliamento sportivo, impersonando se stessa e tutti i personaggi che le ruotano intorno, in una giostra inarrestabile, con evidenti effetti di comicità serrata e irriverente, sgranando con ironia beffarda il rosario di una condizione che oscilla tra il colorito tessuto familiare e i faticati percorsi del mestiere dell’attore, tanto affascinante quanto arduo, che chiede fatica, volontà, passione e impegno costante, ma soprattutto pazienza. Tra preci a S. Genesio, attore romano martire e protettore degli attori, disagi di una convivenza familiare densa di conflittualità e incomprensioni, squarci di relazioni difficili dell’attrice in versione domestica, inesorabilmente schiacciata da una mamma ipercritica nei suoi confronti, in costante adorazione dell’odiato gatto, da zie e cugine implacabili nelle loro manie e bisogni, godiamo il pittoresco affresco di una famiglia siciliana traboccante di ricette e fissazioni, dal mitico falso magro siciliano alle pulizie ossessive, persino dell’acaro della polvere, lavato e strigliato a dovere in una delle scene più esilaranti dello spettacolo.
La “fama”che emblematicamente l’aut-attrice porta nel cognome accentata, qui nel titolo ammiccante al sostantivo “fame”, di cui gli attori soffrono da tempi immemorabili, inseguita e agognata, resta maliziosamente sospesa nel marasma degli oggetti, simbolo di un esibito disordine esistenziale. In un quadro a tinte sgargianti la pièce scopre i retroscena di una vita che non sfama, è vero, ma ai suoi piedi aspira ad avere corone di mirto e alloro deposte dal genius loci del teatro. Sospesi a funambolismi e virtuosismi verbali, gestuali, in una sarabanda disarmante che chiede un sorriso complice, gli ottanta minuti di Evelyn Famà, una vera e propria dichiarazione d’amore per il teatro in salsa piccante, ci proiettano in un vortice scintillante su cui si allungano, dando spessore e forza, le ombre della commediante, annidate nel tessuto del racconto, teso sul filo di una satira ad hoc.
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MORIR DI FAMA
di e con Evelyn Famà
Regia Carlo Ferreri
Scene e costumi: Simone Raimondo
Produzione : Teatro della Città
Al Piccolo Teatro della Città di Catania