Cannes 2018. Le scelte programmatiche della Giuria

Cannes 2018. Le scelte programmatiche della Giuria

Come sempre avviene ci sono stati film sopravvalutati e altri sottovalutati. Forse più di altre volte. Una giuria che decide programmaticamente di mettere in risalto non tanto i caratteri estetici di un’opera quanto quelli etici, non può che formulare scelte conseguenti. E qua e là scambiare per denuncia sociale il melodramma opportunista e ricattatorio (Ayka, Capharnaüm).

Impossibile che una giuria così desiderosa di cambiare i destini dei popoli e degli individui, di migliorare lo status di etnie e working class, nonché di contribuire a un definitivo affrancamento del genere femminile da ogni sorta di umiliazione, così tenacemente persuasa della fondamentale bontà del cuore umano, capisse fino in fondo le sfumature di ‘Dogman’, per esempio. Il chinarsi umile e acuminato di Matteo Garrone (e di Ugo Chiti) sulla mite crudeltà degli uomini, sull’imperfezione inevitabile che si annida in ogni individuo, sulla solitudine e sul bisogno di essere visti, sui microscopici destini enormemente infelici che ci scorrono accanto.

Impressionante, nel film di Garrone, la derelizione morfologica del paesaggio, comune a molte  no man’s land del mondo, da Detroit alla Magliana. L’analisi dell’entropia come misura dell’indifferenziazione di sistemi solo in apparenza lontani, e il delitto come forza dissipativa che, pensando di arrivare a una rivendicazione di sé, dà invece luogo a un processo di annichilazione.

Che dire? Forse hanno ragione loro. Proviamo a sperare in un globale riscatto che ci renda tutti meno disperati. Certamente è stata un’ottima scelta assegnare il Premio Migliore Regia a Pawlikowski per il travolgente Cold War (girato in un b/n che non si vedeva dai tempi di Ascensore per il patibolo). Curioso, per il terzo anno consecutivo il Miglior Regista avrebbe meritato la Palma d’Oro: Olivier Assayas nel 2016, Sofia Coppola nel 2017, giurie miopi o destino ingrato?

Un buon ripiego appare, in fondo, la vittoria del film giapponese Shoplifters di Kore-eda Hirokazu, che ci ha abituati a storie familiari in cui i nuclei sono intesi come veri e propri microcosmi, le cui vicissitudini si svolgono in gran parte all’interno di appartamenti angusti in cui tutto sembra ammassato e in disordine, ma dove – a uno sguardo più approfondito – si respira calore e accoglienza.

Shoplifters è una variazione sul tema. Questa volta la famiglia è composta da persone che si sono scelte, o che il destino ha messo l’una sulla strada dell’altra. Ci sono una nonna, dei nipoti, una coppia e dei bambini, tutti uniti da legami che si sono creati per opportunità, la cui legittimità non va ricercata nel sangue bensì in un codice morale del tutto personale. Una famiglia che vive un po’ di lavoro e molto di espedienti, cercando di sopravvivere nuocendo il meno possibile al prossimo.

Va sottolineato ancora una volta il vuoto incolmabile lasciato dal cinema anglofono, in marcia (confidiamo) verso la Mostra del Cinema di Venezia, sempre più ambita rampa di lancio verso gli Academy Awards.

 

Tutti i premi di Cannes 2018

  • Palma d’Oro per il miglior film: Shoplifters di Kore-Eda Hirokazu
  • Grand Prix: BlacKkKlansman di Spike Lee
  • Premio alla regia: Pawel Pawlikowski per Cold War
  • Palma d’oro Speciale: Le livre d’image di Jean-Luc Godard
  • Premio della Giuria: Capharnaüm di Nadine Labaki
  • Premio alla Sceneggiatura (ex-aequo): Alice Rohrwacher per Lazzaro Felice e Nader Saeivar per Se Rokh (3 Visages/3 Faces)
  • Premio per la miglior’Interpretazione Femminile: Samal Yeslyamova per Ayka
  • Premio della miglior interpretazione Maschile: Marcello Fonte per Dogman
  • Camera D’Or: Lukas Dhont per Girl
  • Palma d’Oro per il miglior cortometrggio: Charles Williams per All These Creatures
  • Menzione speciale della Giuria: Wei Shujun per Yan Bian Shao Nian