Un’epopea marsigliese. “La casa sul mare” di Robert Guédiguian
Robert Guédiguian, sessantacinquenne di spuria origine (metà armeno, metà tedesco), una decina di film di spiccata originalità, devotamente votato verso un trio d’attori del tutto assidui (Ariane Ascaride, Jean Pierre Darroussin, Gérard Meylan) si cimenta di nuovo con un racconto trepido, semplice, dislocato nella Cala di Meyan, sulle Bocche del Rodano (luogo abituale dei suoi personali trascorsi adolescenziali) intitolato La casa sul mare.
Ed è, questa, una storia ricorrente nella filmografia di Guédiguian, per un verso incline a vicende tipiche del mondo proletario marsigliese, per tanti altri aspetti attento a figure, episodi della quotidianità popolare: in questo solco si è imposto con pregevoli film quali Darius et Jannette e Le nevi del Kilimangiaro.
Persistenti, anche in questo nuovo La casa sul mare, si rivelano l’approccio e lo svolgimento che stanno alla base di un ordito leggibile imperniato sull’incontro dopo anni di lontananza di tre fratelli – Angèle, Joseph, Armand – chiamati alla villa doviziosa di un passato borghese dalla grave condizione di salute dell’anziano padre.
Ovvio che la triste circostanza diventi l’occasione ideale per innescare, tra i tre fratelli, vari altri famigli, parenti prossimi o acquisiti confronti variamente orchestrati su contingenti casi, disparate questioni. Ciò che sostanzia poi gradualmente lo sviluppo del racconto si snoda secondo un ritmo calibrato tra tenerezze e malinconia (più qualche timido sorriso) cui indulgono tra di loro i personaggi maggiori.
Si tratta, in definitiva, di una ricognizione tra emozioni, slanci naturali che riaffiorano sul filo di una delicata nostalgia, stemperata nel décor prezioso di un luogo del cuore – appunto la Cala di Meyan – e le fervide giornate intensamente, poeticamente vissute.
Al fondo di una convivenza tollerante si compongono così, senza strepiti né drammi troppo vistosi, amori, eventi scoraggianti, ma non mai rovinosi, di un quieto vivere sublimato in riacquistata saggezza, pacata serenità.
E qui rispunta di quando in quando la radicata propensione di Guédiguian verso sensazioni, idee legate alla sua privatissima immagine della realtà saldata ai segni, ai modi caratteristici della rappresentazione popolare e, in ispecie, del microcosmo circoscritto del proletariato, forse oggi tenuto ai margini ma sempre e comunque una costante irriducibile.
Significativo al proposito quel che dice, un po’ per celia e un po’ per non morire, un personaggio polemico verso la figura della donna in apparenza intangibile: “Hai la testa a destra e il cuore a sinistra, come tutti”. Frase ambigua, ma che palesa indubbiamente l’ombra di una inquieta coscienza.