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Agata MOTTA – Beno Mazzone “A rischio il futuro del Teatro in Sicilia”

 



Cultura in svendita



BENO MAZZONE, “A RISCHIO IL FUTURO DEL TEATRO IN SICILIA”

 

 

 

 

 

 

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Difficile immaginare Piazza Marina senza il suo teatro, un teatro che, da più di quarant’anni, fa parte di quel paesaggio, prima nella sede di Vicolo Sant’Uffizio e poi, dal 1999, in quella dell’ex loggiato della chiesa cinquecentesca di Santa Maria dei Mracoli. Fondato come teatro universitario nel 1969 da Beno Mazzone, cui si è aggiunta dopo qualche anno Lia Chiappara e in tempi più recenti il figlio Luca, il teatro Libero si è mosso seguendo con coerenza e determinazione alcune direttrici fondamentali.

Anzitutto l’esplorazione della drammaturgia contemporanea, italiana, europea e francese in particolare, senza trascurare il recupero del prezioso repertorio dei classici; poi il percorso di formazione vero e proprio con laboratori ed una programmazione ritagliata appositamente per i ragazzi in età scolare e infine concorsi e vetrine – ultima nata quella dedicata alle performance – per offrire un’opportunità alle giovani compagnie alla perenne ricerca di visibilità. Eppure, nonostante non abbia mai sofferto di quel calo di spettatori che ha travolto molte realtà cittadine, il teatro Libero rischia seriamente di non poter affrontare la futura stagione.

“Il problema – ritiene Beno Mazzone – riguarda senz’altro anche altre realtà, quelle dei teatri professionali privati, a vocazione pubblica, che svolgono un ruolo di rinnovamento e di promozione del teatro, non solo nelle poetiche ma anche nei metodi di lavoro, e che rispettano sia il pubblico che gli altri Teatri”.

Concretamente perchè la prossima stagione è a rischio?

Sia a livello nazionale che regionale sono previste trasformazioni nel panorama del teatro professionale. Il Mibac (Ministero BB.CC.) varerà un decreto attuativo del Decreto Cultura del 2013, che trasformerà l’assetto del teatro professionale in Italia: pubblico, privato a vocazione pubblica e privato commerciale, a partire dal 2015. Questo mi inquieta, ma comunque per esperienza so che lo Stato si muove nel rispetto dei Teatri Professionali ed ha gli strumenti legislativi per identificare chi lavora. Certamente ci sono sempre dei rischi in Italia, quando si annunciano modifiche,  per cui spesso si butta a mare il bambino insieme all’acqua sporca. Ma vedremo. La Regione Sicilia, invece, dopo anni di assenza di una legge sul teatro, ne ha una dal 2007, che ha permesso di regolamentare il teatro professionale, separandolo da quello amatoriale, ma adesso c’è una tendenza ad abrogare la legge non finanziandola adeguatamente.

Quindi la legge 25 sul Teatro, quest’anno rischia di scomparire e questo penalizzerebbe soprattutto il teatro privato professionale a vocazione pubblica. Per gli amministratori regionali, infatti, è meglio dare soldi senza regole oppure darli solo alle istituzioni pubbliche (sempre senza regole) per motivi facilmente intuibili. Ed è utile sapere che la Regione Sicilia ha speso, nell’ultimo anno, circa 48milioni di euro per poche istituzioni teatrali e musicali pubbliche e solo un paio di milioni per tutti i teatri privati, commerciali e a vocazione pubblica. Con questa prospettiva, Teatro Libero/Incontroazione di Palermo rischia di vanificare quasi 50 anni di lavoro serio che oggi vede la propria sala frequentata dal pubblico, che occupa il 100% dei posti (fra i pochissimi teatri in Italia), pagando un regolare biglietto d’ingresso.

Cos’è cambiato rispetto al passato?

E’ in atto nel Paese, e in Sicilia con tinte più forti, un degrado che non vedrà facilmente la fine. La professionalità in Teatro è sempre più sacrificata a favore dell’appartenenza alle “lobby”. Ci sono responsabili che, pur di riempire i teatri, non hanno rispetto degli altri teatri e  praticano sistemi antieducativi e populistici, invocando progettualità educative al teatro per le nuove generazioni e permettendo l’accesso gratuito. Questa logica inevitabilmente determinerà lo svuotamento anche di quei “teatri di resistenza”, che promuovono il teatro d’arte e di qualità presso il pubblico.

Quale alternativa potrebbe rivelarsi vincente o attuabile in queste condizioni?

Non si tratta di trovare un’alternativa, ma di invocare, soprattutto in Sicilia, una correttezza di comportamenti sia in chi amministra che in chi è amministrato. Penso quindi ai rapporti fra amministratori pubblici ed operatori teatrali privati (ma credo che lo stesso vale anche per gli operatori musicali). Non si può gridare “all’untore” e poi assumere comportamenti analoghi a quelli contestati precedentemente.

Rispetto al modello francese, che lei conosce bene, o ad altri modelli europei in cosa si differenzia il sistema italiano nella gestione della cultura? O la crisi investe trasversalmente tutti i paesi europei?

Voglio parlare soprattutto del teatro e dire che la “crisi” che viviamo è trasversale per tutti i Paesi, ma è l’Italia che ha sempre investito sulla cultura molto meno degli altri Paesi Europei, in rapporto al Pil. In Francia c’è pure “crisi” nei teatri, ma la loro professionalità fa rispettare le diverse identità e le lobby, quando agiscono, tengono comunque in considerazione la professionalità. Inoltre la storia del teatro Italiano è ben diversa da quella degli altri Paesi europei.

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Sicuramente le istituzioni  farebbero bene a riflettere un po’ di più, e con maggiore serietà e lungimiranza, al ruolo di settori strategici per la formazione umana quali cultura e istruzione (altra Cenerentola alla disperata ricerca della sua scarpetta), che non possono essere considerati fanalini di coda rispetto ad altri interessi che si ritengono prioritari nell’immediato.

Ma gli intellettuali, si sa, specie quelli non inseriti nel “sistema”, non hanno mai avuto vita comoda. Trasformare il patrimonio artistico e culturale italiano in motore di sviluppo anche sul piano economico – specie quando le risorse, in termini di intelligenza creativa e professionalità, non scarseggiano affatto – potrebbe diventare una vera sfida, stimolante proprio perché difficile.