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Agata MOTTA- Quando la sofferenza teneva il sogno per mano (F. Maresco ricorda F.Scaldati)

 

 

Teatro   Il mestiere del critico

 


QUANDO LA SOFFERENZA TENEVA IL SOGNO PER MANO

Franco Scaldati Franco Scaldati

Franco Maresco ricorda l’amico-ad un anno dalla scomparsa-  allestendo “Lucio” al Biondo di Palermo

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E’ la luce la protagonista dell’allestimento di Lucio, uno dei testi più rappresentativi ed emblematici di Franco Scaldati, proposto al Biondo dall’amico Franco Maresco per omaggiarne la recente scomparsa. La luce inonda il palcoscenico con le sue irruzioni violente lasciando in un’oscurità fitta e permanente la platea, si nega riottosa scivolando dolcemente in una fragile penombra, si apre varchi a sprazzi, a guizzi, a lampi improvvisi, ‘veste’ pudicamente i personaggi che la cercano in un’alba promettente, in un languido sorriso lunare, in un nome simbolo – quello di Illuminata – che cattura con la sua grazia, e fa innamorare di sé Lucio, il teatrante gobbo e dal braccio monco, che insegue la sua Luna-Illuminata su una barca senza mai afferrarla.

Il regista lavora ossessivamente con la luce, la ‘spreca’ e la risparmia, la ‘spalma’ e la frantuma e Cristian Zucaro si prodiga generoso a ritagliare spazi, figure, ombre, a giocare d’intensità, a partecipare con totale aderenza alla messa in scena, insieme con il virtuoso fraseggio jazz di Salvatore Bonafede che accompagna, senza sovrapporsi ma senza mai sbiadirsi, il fluire denso del dialetto scaldatiano, quel dialetto che, come lo stesso autore sottolineava, è tanto più forte ed efficace della lingua quanto più legato ai suoni, elementi primi della comunicazione.

Malinconici, stralunati, teneri, ancestrali interpreti Mimmo Cuticchio, Gino Carista e Melino Imparato, tre attori che, pur con motivazioni diverse, hanno avuto solidi legami con Scaldati, possono ricordarlo, commemorarlo e rappresentarlo. A Cuticchio Maresco chiede di restare se stesso, di mantenere la sua fisionomia di puparo, di manovratore di sagome inanimate, di suscitatore di storie e di incanti: e lo vediamo, infatti, intrecciare fili di luce con le mani, agitare un manto ricamato con le immagini dei protagonisti teatranti, sovrastare un vecchio fantoccio che narra di un luogo in cui è possibile che i bimbi siano felici.

Per Imparato è semplice seguire il solco già tracciato, ha lavorato tanto con il ‘Sarto’ e può ripercorrerne trame e ricami assecondato senza indugi da un Carista che indossa storie calzate a pennello, che pronuncia parole che possono farsi aspre come limoni o dolci come martorana. Non c’è cronaca e non c’è storia in questo testo e proprio per questo i personaggi – Crocifisso e Pasquale, ma anche lo stesso Lucio con Illuminata, Ancilù e Ancilà – vivono d’assoluto, sono creature materiali ed incorporee, sono spirito ed istinto, realtà ed allegoria.

Prosa e poesia, si potrebbe aggiungere, perché il connubio tra Maresco e Scaldati in fondo si riduce a questo, l’autore che ha narrato gli aspetti più “indecenti” di una Palermo tanto ferina quanto apparentemente lontana si presta a dar voce, ma più ancora immagini, al poeta dei reietti, all’aedo di un luogo che è Palermo ma corrisponde al mondo, almeno a certo mondo in cui la sofferenza e il sogno si tengono per mano, in cui l’essere ai margini non significa rinunciare alla vita ma semmai amarla ancor di più. Scaldati, dunque, si configurerebbe come un Beckett che, pur nella desolazione, non ha ancora perso la speranza di trovare un senso all’esistenza umana.

L’operazione condotta dal regista dunque è quella di aver creato una narrazione iconografica, probabilmente lontana dal legame viscerale dell’autore con le parole (Scaldati preferiva recitare più che rappresentare questo testo), ma non per questo rea di averne tradito lo spirito. E ci mette dentro anche il suo mestiere, il linguaggio che gli è più congeniale: veloci fotogrammi, rapide sequenze di nuvole cangianti, cimiteri, ciminiere, volti antichi. Maresco ha rivendicato il diritto ad una personale interpretazione nella certezza che all’amico quella libertà non sarebbe dispiaciuta.