Le quattro facce dell’amore. ‘Doppio amore’ di François Ozon (distribuzione Academy Two)
Chloé è una ragazza che soffre da anni di uno strano mal di pancia di cui non si conosce la causa. Per questo decide di rivolgersi a uno psichiatra, Paul, che pian piano l’aiuterà e di cui si innamorerà. Dopo essersi rivelati i propri sentimenti i due decidono di interrompere le sedute e di andare a vivere insieme. Poco dopo Chloé scopre casualmente l’esistenza del gemello di Paul, anche lui psicoterapeuta e decide di intraprendere con lui (di nascosto) un percorso di analisi.
La protagonista è eccitata all’idea di frequentare due persone identiche ma allo stesso tempo diverse. Questo rapporto però si trasformerà in una tormentosa relazione che farà emergere alcuni segreti del passato e culminerà in un imprevedibile finale.
Il tòpos dei gemelli, considerati come doppio speculare e morboso, era già presente in Inseparabili di Cronenberg, con protagonista Jeremy Irons. Ozon aggiunge però una spietata competizione tra i due, in cui uno vorrebbe dominare l’altro e possederlo quasi fino a cannibalizzarlo. Più recentemente sono state due serie tv che hanno riproposto questo tema: American Horror Story. Freak show dove Sarah Paulson incarna due gemelle siamesi e The Deuce con James Franco. E sembra che Ozon si sia ispirato proprio al primo per girare una scena particolare in cui viene visualizzata la fantasia più estrema di Chloé.
Un altro riferimento inevitabile è Rosemary’s baby di Polanski. Anche in Doppio amore a film concluso ci si chiede dove finisca la realtà e dove comincino i deliri paranoici di Chloé. Quasi tutti i personaggi infatti sono deformati dalla sua mente paranoica e sembra che nascondano una natura maligna. A cominciare dalla vicina di casa, amante dei gatti, che ricorda proprio Minnie Castevet/Ruth Gordon, predatrice diabolica di Rosemary/Mia Farrow. Ma in qualche modo viene in mente anche un’altra celebre vicina, la Coco di Mulholland drive. In questo senso tutti i personaggi di Doppio amore sono lynchiani, figure evanescenti e fantasmagoriche che non si capisce più da quale sogno provengano.
Ozon ha scelto di girare in digitale per avere una maggiore libertà espressiva e in effetti alcune suggestioni visive sono degne del miglior cinema sperimentale. Ma se il film ne ha giovato da un punto di vista stilistico, la narrazione sembra arrovellarsi su stessa, come se il regista a un certo punto, perso il controllo della storia, si fosse smarrito nei meandri della mente di Chloé.