Oreste
Da Euripide
Di Marco Bellocchio / Regia di Filippo Gili / In scena al Teatro Vascello di Roma
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Nato da un’idea di Marco Bellocchio, poi sviluppata drammaturgicamente con Filippo Gili (che ne ha curato anche la regia) “Oreste” è stato presentato l’anno scorso, sotto forma di studio, al Festival del Teatro Antico di Veleia.
L’intento a monte del progetto è quello di mettere in scena l’angoscia di Oreste, nella versione che ne fa Euripide nell’omonima tragedia e di Ale, il protagonista de “I pugni in tasca” (1965) film d’esordio di Bellocchio. I due personaggi, così distanti nella collocazione spazio-temporale, sono accomunati dall’aver commesso un orribile delitto: il matricidio. Ma se l’omicidio di Oreste, tramato con la complicità della sorella Elettra, è stato concepito per vendetta (punire Clitemnestra colpevole di aver ucciso il marito Agamennone, a sua volta reo di aver sacrificato la figlia Ifigenia), quello di Ale non ha nessuna motivazione apparente, tranne quella di appagare la propria sete di potere. Non bisogna infatti dimenticare che è un personaggio nato negli anni ’60 in pieno boom economico e poco prima della contestazione sessantottina. Anche l’esito delle due vicende è diverso, nel caso di Oreste il tormento viene alleviato dal perdono di Pallade mentre per Ale non è previsto nessun deus ex machina.
Se i presupposti per creare uno spettacolo interessante c’erano tutti, quello a cui si è assistito al debutto romano è stato un appuntamento mancato principalmente per due ragioni: uno scarso approfondimento nell’elaborazione del testo e la poca credibilità di Pier Giorgio Bellocchio nella doppia veste di Oreste/Ale. Tranne che nell’ambientazione scenica, nello spettacolo non c’è traccia di quell’inquietudine che dilania i due personaggi. I sensi di colpa ritornano solo la notte, negli incubi che fanno i due fratelli, sotto le sembianze di una sensuale Clitemnestra, che con la sua presenza in scena contribuisce a trasformare l’efferato omicidio in una masquerade. Oreste/Ale è troppo manicheo, privo di una complessità addirittura maggiore in una tragedia scritta 2500 anni fa. Questa debolezza drammaturgica non è aiutata dalla recitazione di Pier Giorgio Bellocchio, che per tutto lo spettacolo fornisce un’interpretazione isterica e sopra le righe. Discorso diverso per Liliana Massari, che è riuscita a creare un’Elettra/Giulia più tormentata e dal fascino ambiguo.