Il mestiere del critico
CONVIVERE CHE DRAMMA!
“Il figlio dell’altra” un film di Lorraine Levy
di Sauro Borelli
E’ accertato: da troppo tempo e da tante esperienze, le drammatiche vicende di guerra che separano, non solo fisicamente, il popolo d’Israele da quello palestinese – sia sul piano delle dispute territoriali, sia sulla dinamica dello scontro politico – hanno innescato per il passato e perpetuano nel presente tragedie e guasti (apparentemente) insanabili. Così, dall’immediato dopoguerra mondiale ad oggi ogni possibile convivenza s’è inesorabilmente impastoiata in una contesa – anche più volte armata – tra le contrastanti forze in campo, spesso sobillate anche dai giochi sordidi delle grandi potenze, sempre in lotta per il predominio politico delle ricche zone petrolifere del Medio Oriente. Insomma, qualsiasi aspirazione a qualche convivenza si è presto tramutata in un inestricabile dramma.
Su questo terreno tormentato è dislocato il nuovo film di Lorraine Lévy, cineasta francese d’origine ebraica, Il figlio dell’altra che affronta con piglio resoluto una storia paradigmatica dell’attuale situazione di stallo tra parte israeliana e parte palestinese. A tale scopo, la stessa cineasta, coadiuvata dagli sceneggiatori Nathalie Saugeon e Noam Fitoussi, ha strutturato un racconto di taglio tutto realistico in cui viene evocata la tribolata esperienza di due famiglie, l’una ebraica e l’altra palestinese, coinvolte in un intrico davvero desolante. Dunque, un ragazzo di Tel Aviv, appena diciottenne, Joseph, alla visita di leva per essere arruolato nell’esercito israeliano, scopre suo malgrado di essere non il figlio di una agiata famiglia ebraica (la madre dottoressa, il padre autorevole colonnello), ma ben altrimenti il coetaneo Yacine, secondogenito di un meccanico di Cisgiordania e della dolce sua moglie.
La sorprendente agnizione viene alla luce dal fatto incontestabile che, in forza del gruppo sanguigno “A positivo” in aperto contrasto con quello “A negativo” di entrambi i genitori Joseph non può essere che figlio d’altri genitori. Così, dopo molteplici, rigorose ricerche, salta fuori anche la causa che ha ingenerato un simile errore. Diciotto anni prima entrambe le madri, la palestinese e l’israeliana, avevano partorito nell’ospedale di Haifa, ma in una notte di bombardamenti da parte dei missili iraniani i neonati erano stati spostati in luogo sicuro e, proprio in quei frangenti, fu commesso il malaugurato scambio.
Ovviamente la sconvolgente novità turba intensamente tanto le due famiglie, quanto i giovani Joseph e Yachine (da poco tornato da Parigi ove s’è diplomato per diventare medico), oltretutto mettendo anche aspramente in risalto i contrasti radicali che separano la società israeliana e quella palestinese: la prima intenta a mantenere la propria posizione di forza nei confronti dei palestinesi; la seconda irriducibile nel rivendicare ancora e sempre le proprie terre e soprattutto la libertà di vivere con dignità e rispetto la propria esistenza.
Ma se all’inizio la contrapposizione tra il colonnello israeliano e il meccanico palestinese sembra inconciliabile, la più duttile, e sensibile posizione delle due madri e, persino, il rapporto d’amicizia presto instauratosi tra i due ragazzi, stemperano di giorno in giorno, ogni residua polemica. Fino a prospettare, in modo allusivo ma non esplicitamente dichiarato, un modus vivendi che, se non sarà certo il meglio che si potesse ottenere, consentirà eloquentemente ai giovani Joseph e Yachine se non altro “di non sprecare la vita”.
Film appassionatamente teso a individuare contraddizioni e problemi di una realtà tribolata, Il figlio dell’altra, girato senza forzature polemiche con toni decontratti e incisivamente incalzanti non si dipana puntando sulle asperità e i contrasti più crudi, lasciando in sottofondo forse il sempre emergente dissidio tra le ragioni dei palestinesi e quelle degli israeliani. Ciò che non omette, peraltro, di argomentare con buon senso e ragionevolezza come, al di là di un dramma privatissimo come lo scambio fortunoso di due neonati, possa diventare fatto emblematico di un dramma che, prima che storico, risulta altresì morale, umanamente straziante per tutti.