“Sei personaggi in cerca d’autore”: una versione dirompente e innovativa per freschezza e dinamismo

Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore (1922): una versione dirompente e innovativa per freschezza e dinamismo al Piccolo Teatro di Milano

@ Rinaldo Caddeo, 28 febbraio 2025

Abbandonati dal loro autore che dopo averli creati li ripudia, sei personaggi irrompono sul palcoscenico durante la prova de Il gioco delle parti e chiedono al regista di essere rappresentati.
Dopo l’iniziale rifiuto, Il regista è catturato dal dramma che gli viene esposto a spizzichi e bocconi: un Padre fa entrare in casa un segretario. Tra il segretario e la Madre nasce un’intesa che non è amore ma è una complicità sufficiente per convincere il Padre a cacciare di casa la coppia, che avrà tre figli (la Figliastra e due bambini).
Il segretario muore. La famiglia piomba nella miseria, finché non è il Padre ad accoglierla di nuovo a casa propria, dopo aver avuto un incontro, quasi incestuoso, con la Figliastra che si prostituisce presso il salotto di Madama Pace. Questa decisione non riporta pace, anzi, spalanca il vaso di Pandora del male di vivere e delle tensioni latenti: rancore, collera, sarcasmi, vergogna, rimorsi, desiderio di vendetta, a volte anche pietà.
Il regista ne viene talmente ipnotizzato da convincersi a esaudire la richiesta di farlo rappresentare. Il dramma non ha copione. Il copione viene scritto all’improvviso mentre viene recitato. I personaggi, davanti alla sproporzione tra la recitazione e il modo in cui loro lo sentono dentro, respingono la finzione e ne impongono un’istanza ultimativa. Nasce una dialettica tra l’urgenza di essere rappresentati e la sconfessione della rappresentazione stessa, dove chi mostra e parla si succede e si alterna, in modo sempre più convulso, a chi vede e ascolta.

C’è tutto Pirandello in quest’opera cruciale: il rapporto problematico tra realtà e finzione, illusione e verità, autore e personaggi, eternità e istante, il metateatro (teatro nel teatro). La moltiplicazione dell’io.
Il contrasto tra forma e vita. I personaggi hanno una forma fissa senza gli imprevedibili e continui mutamenti della vita. Imprigionati nella loro forma eterna, resistono alle peripezie del tempo (vecchiaia, malattie, morte).
L’incomunicabilità scava un solco incolmabile tra sé e gli altri: ciascuno, portando dentro un mondo unico di cose, conferisce alle parole che dice un senso diverso da quello che gli dà chi ascolta.

In quale posizione si colloca questo allestimento di Valerio Binasco tra i tanti allestimenti che si succedono in un secolo di storia, da quello esistenzialista, gridato, di De Lullo (1965) con Romolo Valli, a quello umbratile, sussurrato, di De Fusco (2018) con Eros Pagni, passando per quello metafisico di Ronconi (2012) con Luca Mascolo, (tanto per citarne qualcuno senza andare troppo indietro nel tempo)?

La cifra stilistica che contraddistingue questa rappresentazione è il dinamismo e la fisicità. Gli attori non stanno mai fermi. Da soli o insieme, si spostano repentinamente da un angolo all’altro del palcoscenico. Corrono, rotolano, si abbracciano, si tirano per i capelli, si picchiano (per finta), si spogliano, si rivestono. Spostano oggetti di scena, giocano anche a basket con una palla di gomma, in un allestimento spartano: un ampio scantinato adibito a teatro. A un certo punto il Figlio e la Figliastra si mettono a ballare un frenetico fox-trot attivando un grammofono anni ’20.
La velocità, nella pronuncia delle battute, accentua un’intonazione affabulatoria in Valerio Binasco (il Padre), rabbiosa in Giordana Faggiano (la Figliastra), estraniata in Giovanni Drago (il Figlio), indignata o esacerbata in Simona Bertelà (la Madre). Insomma una versione dei Sei personaggi sfolgorante, fresca, energetica, commovente, a volte furibonda, caotica, fortemente innovativa, a cui è stata tolta la polvere di un secolo.


Nasce una clamorosa, contraddittoria solidarietà, mai vista prima, tra la troupe degli attori e i sei personaggi che esalta un confronto tematico e temporale tra i sei che appartengono, anche per il modo di vestire, a un altro secolo e la troupe che è vestita casual e colorata.
Geniale l’idea di affidare a una svariata e vivace troupe di giovani, studenti di teatro, la recitazione de Il gioco delle parti che rende possibile una partecipazione attiva, attuale e consentanea, anche da parte del pubblico in sala, al dolore dei sei, soprattutto della Figliastra.
Per quanto concerne i sei personaggi, i suoi attori, tutti molto giovani (tranne Binasco), sono tutti davvero bravi. Meritano un encomio speciale Giordana Faggiano (la Figliastra) per l’intensità prolungata della sua performance (con una risata ancora più violenta ed eloquente di quella di Rossella Falk) e Giovanni Drago (il Figlio) per la sua espressività alienata.
Non mancano varianti di scena e di battuta rispetto all’originale. Una per tutte quella che riguarda il finale in cui è il Figlio a spararsi e spargere sangue. Poi si rialza. La domanda sottesa è sempre quella: realtà o finzione?

È tutto finito… così?
Silenzio.
Gli attori radunati immobili davanti al pubblico.
E poi un’ovazione liberatoria, lunghissima, meritatissima.

 

Sei personaggi in cerca d’autore
da Luigi Pirandello
personaggi e interpreti
i personaggi della commedia da fare:
Il Padre Valerio Binasco
La Madre Sara Bertelà
La Figliastra Giordana Faggiano
Il Figlio Giovanni Drago
la compagnia:
Il Capocomico Jurij Ferrini
e con Alessandro Ambrosi, Cecilia Bramati, Ilaria Campani,
Maria Teresa Castello, Alice Fazzi, Samuele Finocchiaro, Christian Gaglione,
Sara Gedeone, Francesco Halupca, Martina Montini, Greta Petronillo,
Andrea Tartaglia, Maria Trenta
regia Valerio Binasco
scene Guido Fiorato
costumi Alessio Rosati
luci Alessandro Verazzi
musiche Paolo Spaccamonti
suono Filippo Conti
aiuto regia Giulia Odetto
assistente regia e drammaturgia Micol Jalla
assistente scene Anna Varaldo
assistente luci Giuliano Almerighi
produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale