Buzzati, “Un amore”: prova esemplare, acuta, intensa, ‘perturbante’, di Paolo Briguglia al Franco Parenti

Buzzati, Un amore: prova esemplare, acuta, intensa, perturbante, di Paolo Briguglia al Franco Parenti

@ Rinaldo Caddeo, 13 febbraio 2025

 

Paolo Briguglia recita con i piedi, le mani, le braccia, con le gambe, il busto, la faccia. Cammina, si sdraia, rotola, si rialza. Trasforma la scrivania su cui lavora il suo personaggio, che fa lo scenografo, nel letto dove avvengono gli incontri con Laide, l’amata che, oltre a fare la ballerina alla Scala e nei locali notturni, si prostituisce.

La sua voce fa molte voci: la voce della Signora Ermellina, la ruffiana simpatica, che parla con intonazione romagnola. La voce languida e strascicata, con la erre moscia, di Laide. La voce torva della Piera che gli parla con schiettezza, gli dice la verità su di lui e sulla sua rispettabilità borghese. E soprattutto dà voce alla voce franta del protagonista, Antonio Dorigo, in tutte le sue modulazioni, accelerazioni e rallentamenti, sussurri e grida, con tutti i ricordi, le idee, che gli piombano addosso, le scuse, le colpe, le assoluzioni. E l’attesa.

Dorigo, come il suo anagramma, il tenente Drogo (Il deserto dei tartari), è un campione delle attese. Nell’attesa maturano i pensieri, sbocciano euforie e angosce, metafore e rivolte.

Briguglia fa tutto da solo, con leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità e molteplicità calviniane.

Accompagnano e scandiscono questa impresa la musica e le canzoni di quegli anni (Memo Remigi, Innamorati a Milano, Nada, Un amore disperato), brani di free-jazz: i mitici anni ’60. Un amore appartiene a quegli anni e va oltre. Questo oltrepassamento lo possiamo riconoscere nelle immagini, in bianco e nero, a colori, che scorrono sullo schermo/fondale: immagini della Milano del tempo ma anche delle donne provocanti, indifferenti e smaniose, degli acrilici di Buzzati, con due file allarmanti di occhi.

La pubblicazione nel 1963 di Un amore di Buzzati, oltre a produrre scandalo per l’evidente carattere autobiografico, suscita sorpresa poiché sembra che l’autore smentisca la precedente poetica, passando dal fantastico dei racconti o di romanzi come Il segreto del bosco vecchio o Il deserto dei tartari a un nuovo, inedito, realismo. Non è così. Ci sono due livelli.

Storia di un amore asimmetrico tra un uomo adulto e una donna-bambina, nato in una casa d’appuntamenti, a un incrocio tematico/emotivo tra Lolita (1958) di Nabokov e Senilità (1898) di Svevo, il motivo superficiale di Un amore di Dino Buzzati è l’inettitudine del protagonista, Antonio Dorigo, a stabilire un rapporto sincero e leale, senza sussiego, con le donne, in particolare con quelle che lo attraggono. Il denaro sembra poter risolvere il problema.

È vero il contrario. Lo spettacolo di Briguglia lo dimostra.

C’è un secondo livello, il motivo più profondo, nel corpo del romanzo: l’aspetto conturbante, l’alone di mistero che avvolge il rapporto sessuale. La prostituta sembra ma non è uguale alle altre donne. La prostituzione, almeno per Dorigo, assume i connotati dell’Unheimliche freudiano, il perturbante, un misto di inquietudine e di attrazione, che scatta quando una persona o una cosa, sono percepite come attraenti e appaganti, aderenti al proprio desiderio, e nello stesso tempo ostili, estranee, indecifrabili e pericolose, appartenenti a un mondo altro. Quando Dorigo conosce Laide e se ne innamora, inquietudine e attrazione si saldano, diventano due poli dello stesso pianeta angoscioso. L’inquietudine alimenta l’attrazione nella stessa misura in cui l’attrazione nutre un’inquietudine che si fa angoscia. È un serpente che si morde la coda in una spirale crescente, incoercibile di sofferenza.

L’Unheimliche si ripresenta anche in forma di luogo strano come il quartiere della Storta, incistato nel centro di Milano, in corso Garibaldi, un intrico di vicoli, piazzette, anditi bui, abitato da poco raccomandabili cittadini, ultimo residuo di medioevo nella città moderna, dove Antonio, prima di averla conosciuta in casa della Signora Ermellina, crede di avere visto, per la prima volta, Laide.

L’Unheimliche buzzatiano non è sortilegio delicato e vaporoso come nel coevo Giardino dei Finzi-Contini di Bassani o nei racconti di Hoffmann. Stravolge il linguaggio. Lo stile del monologo misurato e razionale di Buzzati, persino la sintassi, sono scassinati da flussi piroclastici, repentini e violenti, di stream of consciuosness.

Briguglia ce li fa vedere e sentire. Individua le similitudini strategiche del testo. Laide è il motore dell’Unheimliche. Antonio ne diventa un servo geloso. Cerca di metterle il guinzaglio con uno stipendio fisso, di controllarla, ma, abilissima piazzista di scuse e depistaggi, è lei a metterlo a lui.

Solo alla fine, come ne Il deserto dei tartari, la giostra ossessiva delle angosce e delle frustrazioni può placarsi. Il protagonista accoglie l’immagine di Laide che si libra in un pulviscolo di sogno come simbolo di vita. Laide, la storia con lei, acquistano un alone fiabesco e buono e come tali, per la prima volta, vengono esaudite.

Meritatissimo, prolungato applauso del pubblico sprigiona a un colmo di tensione.

Un amore di Dino Buzzati
regia 
Alessandra Pizzi
con 
Paolo Briguglia

produzione Ergo sum

fino al 16 febbraio al Teatro Franco Parenti di Milano