Ancora una volta il caro, vecchio Natale/ Murakami: una narrazione che rende visibile l’irreale

Ancora una volta il caro, vecchio Natale/ Murakami: una narrazione che rende visibile l’irreale

@ Rinaldo Caddeo, 8 dicembre 2024

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Lui fa il Lettore di sogni in una vecchia biblioteca. È una biblioteca senza libri. Le sue stanze sono vuote: non c’è un quadro, una fotografia, un poster, un orologio. C’è un grande silenzio. Nella sua stanza centrale c’è una panca, due sedie, un attaccapanni, un tavolo, una stufa con un bollitore, un bancone e lei, la giovane bibliotecaria che, che dopo avergli preparato una tisana lenitiva, balsamo per il cuore e cura per i suoi occhi feriti, gli porge i sogni.

Quella biblioteca si trova in una città racchiusa da mura alte 8 metri. In quella città, attraversata da un fiume, oltre alla biblioteca, ci sono tre ponti di pietra, una piazza con una torre con un grande orologio senza lancette. Gli abitanti sono pochi e vivono in condomini semi-vuoti. Gli unici animali che la popolano, oltre agli uccelli che riescono a sorvolare le alte mura, sono gli unicorni, dal dorato mantello.

Gli esseri umani non hanno l’ombra di cui vengono privati, all’ingresso nella città, da un robusto Guardiano, l’unico autorizzato ad uscire dalle mura per portare al pascolo gli unicorni. Le ombre riescono a vivere senza i corpi per pochi giorni. Poi deperiscono e muoiono.

All’inizio tutto questo sembra solo la rêverie di una coppia di adolescenti innamorati ma presto diventa una realtà. Realtà tanto enigmatica, metafisica, quanto drammatica, malinconica e crudele. Si tratta di quel realismo magico che nel corso del romanzo viene evocato con un’ampia citazione di García Márquez. Realismo magico, per altro, nato in ambito pittorico con Giorgio De Chirico e in ambito narrativo e teatrale con Massimo Bontempelli già negli anni dieci del ‘900.

Murakami Haruki, dopo quarant’anni, dopo tanti libri, tanti successi, tante avventure narrative come L’uccello che girava le viti del mondo o 1Q84 o L’assassinio del commendatore, tanto per citarne qualcuno, sembra essere ritornato alle origini: La fine del mondo e il paese delle meraviglie (1985), di cui riprende molte figurazioni, diversi dettagli descrittivi e narrativi, una struttura narrativa sdoppiata (almeno all’inizio) e soprattutto l’atmosfera perturbante e sospesa. Anzi, da quanto l’autore stesso ci dice in una sua Postfazione, ritorniamo a un format anteriore, uscito nel 1980 in rivista, che precede persino Nel segno del pecora (1982), una sorta, come per Goethe, di Ur-Faust che precede il Faust.

Ne La fine del mondo e il paese delle meraviglie c’era una complicata correlazione di carattere fantascientifico/distopico tra due livelli, che qui è sostituita da una struttura binaria, due storie parallele a capitoli alterni, che a un certo punto si incontrano e si fondono in un alone romantico che fornisce un’inclinazione più levigata, onirica e struggente al récit.

Qui, ne La città e le sue mura incerte, soprattutto nella Parte prima, sembra di vivere in una Piazza d’Italia di De Chirico, dove la luce cristallina è imbevuta di melancolia, dove una torre con un orologio scandisce l’enigma di un tempo senza tempo o, talora, sembra di trovarsi nelle strade e nelle piazze vuote, vaste, silenziose de La città ideale di Piero della Francesca.

Nella Parte seconda la tensione metafisica dechirichiana si stempera. Riemerge il Murakami fine tessitore di trame narrative complesse, di atmosfere sospese non solo e non tanto a un lieto fine o a una qualsiasi fine, quanto a una risoluzione provvisoria in grado di aprire, racchiudere, trasformare in continuazione territori confinari, no-man land, disposti tra realtà e non realtà, memoria e oblio, desiderio e disperazione, attesa e consolazione. Tutto è possibile: le cose inanimate, grandi e piccole diventano vive, le mura che risultano invalicabili si spostano come se avessero una volontà, i nodi del legno cambiano di posizione, le acque dello stagno sospirano. I fantasmi diventano più reali delle persone vive, in carne e ossa. Un uomo deceduto può apparirci e (non solo in sogno) parlarci, risolvere i nostri dubbi, indicarci la strada da seguire. L’interno della coscienza diventa un salotto dove si conversa in modo ameno con un’altra persona. Due persone si possono fondere in un’unica persona e poi dividersi di nuovo.

Che cosa c’è di strano?

Haruki Murakami

Sembra di attraversare le architetture metamorfiche di Escher o una scultura/installazione di Kapoor dove si entra in un quadrato, si passa attraverso un cerchio e si finisce in un rombo. Via via che ci si sposta, ovvero che si legge, ci si avventura in territori dove i muri, le barriere tra prima e dopo, esterno e interno, presente e passato, ai confini dell’assurdo, non sono aboliti ma rimodulati, riversati l’uno nell’altro.

Murakami si conferma maestro di stile con una lingua limpida, visiva, semplice e raffinata, placida e ossessiva, capace di affilate metafore e periodiche sorprese. In quest’ultima prova, con un andamento iterativo, spiraliforme, ci propone i moduli rinnovati di un linguaggio formulare, che aiuta a conferire un carattere epico a questo nuovo romanzo.

Murakami Haruki, La città e le sue mura incerte, Einaudi Torino, 2024