“Offelia suite”, delirio, trance, rapimento, intense feeling, joy or grief: ecstasy

“Offelia suite”, delirio, trance, rapimento, intense feeling, joy or grief: ecstasy

@ Rinaldo Caddeo, 12 dicembre 2024

Ofelia?
La prima cosa che viene in mente è il quadro preraffaelita di Everett Millais: una pallidissima fanciulla, i grandi occhi spalancati, la bocca dischiusa, galleggia supina, le braccia aperte, i rossi capelli che fluttuano nell’acqua di uno stagno, avvolta in un candido vestito. Con la mano destra tiene un mazzetto di fiori gialli, bianchi, rosa, che stanno per essere trascinati via dalla corrente. Con la sinistra, il palmo aperto, il pollice sfiora l’indice. Il resto del corpo e del vestito si confonde con l’acqua, le piante e i fiori che la circondano. È un’immagine di stupore e di dolore.

Ma chi è stata Ofelia?
È la creatura di un dramma di Shakespeare: Amleto. Figlia di Polonio, ciambellano di corte, sorella di Laerte, a differenza del fratello e soprattutto del padre, parla pochissimo, si dimostra assennata e ubbidiente, corrispondente in pieno al modello della fanciulla castigata e virtuosa, almeno nel primo Atto. Nel secondo Atto, Ofelia descrive al padre le smanie di Amleto: discinto, irrompe, mentre lei cuce, nella sua cameretta, le afferra un polso, glielo scuote e la fissa con sguardo da folle. Poi se ne va. Il padre interpreta il comportamento di Amleto come manifestazione di follia d’amore e si propone di parlarne al re. Ofelia è spaventata e non sa che cosa pensare anche se concede che di amore potrebbe trattarsi.
Nel terzo Atto Amleto respinge Ofelia, la invita a entrare in convento, dopo avere ammesso di averla amata. Ofelia si dichiara da lui ingannata e davanti al suo delirio osserva come la bella voce che le aveva rivolto tante promesse d’amore sia divenuta il suono guasto di una rotta campana.
Nel quarto Atto, dopo la morte del padre, provocata involontariamente da Amleto, esplode la follia di Ofelia, parallela a quella di Amleto. Ofelia diventa un’altra. Nasconde e confessa il suo amore, delira dicendo la verità, vaneggia e predice il futuro. Canta dolci melodie, refrain, soavi canzoni di morte e di amore ferito, offeso. Come intuisce suo fratello: converte in grazia e bellezza i cattivi pensieri, la sofferenza, l’inferno.
La follia, la madness, sia di Amleto sia di Ofelia, viene anche definita, da altri personaggi e da Ofelia stessa (a proposito di Amleto), ecstasy: trance, rapimento, intense feeling, joy or grief.

Ecco, Offelia, questa Ofelia off, interpreta magistralmente, esprime e sviluppa questa condizione, un particolare stato di ecstasy.
Delirio panico, lucido furore, vaneggiamento gremito di piante e di fiori, con i loro delicati colori e profumi inebrianti: ruta, finocchio, ranuncoli, orchidee, margherite, violette. Affollato da voci, idiomi (adulti, infantili, inglese, francese), lusinghe, minacce, convocazioni, ordini, domande, divieti. Canzoni, cantilene, ritornelli, preghiere. Gioia, dolore, riso e pianto.
Una situazione metamorfica accudita dal ciclo terrestre dell’acqua. Le lacrime che escono dagli occhi si confondono con le gocce di pioggia che cadono nel fiume che scendono nel mare, diventano onde che evaporano ritornando gocce e lacrime.
Le cose del mondo, gli oggetti, le persone, sono travolte dalle vicissitudini e vanno incontro alla disintegrazione del tempo, sono illusione. Nel mondo domina la legge della forza che stritola fratellanza e solidarietà. Solo ciò che immaginiamo, il teatro stesso, è destinato a sopravvivere e può sottrarsi al nulla.
Tramite di salvezza, questa follia, l’ecstasy, è un flusso di coscienza e di liquefazione, dove il tempo si ferma, fiorisce, diventa voce, parola, canto, fino alla rappresentazione di sé, del proprio corpo di seta, adagiato tra le proprie braccia con le parole della Regina che descrivono la sua vita spezzata nello stagno presso il salice, tradita da un ramo invidioso.

Di nero vestita ma con un cappello cinto di fiori e con un candido setoso mantello, che a volte l’avvolge a volte la insegue come un’ala o uno strascico, Viola Graziosi grida, piange, ride, sussurra, canta, danza, si muove e parla con tenera autorevolezza, con solida incoerenza. Il suo sguardo è straniante e coinvolgente, perché sembra puntare su di te, singolo spettatore, nello stesso tempo guardando in un altro luogo dove condurti con la sua morbida veemenza. La sua voce franta, ma forte, incoercibile, grazie anche a misurati intrecci elettronici, con un’energia svincolata da ogni forma di patetismo autoreferenziale o di vittimismo, ci porta con sé in questa folle, estatica rincorsa. C’è anche questo ricorsivo suono Ai-Ai-Ai, dall’inizio alla fine, che è il suono della prima persona singolare in inglese, un soffio, un’eco, un’invocazione di dolore e speranza, di amore e morte.

Importante, non ornamentale, la musica di Arturo Annecchino, una suite per pianoforte che scandisce, disloca e sostiene, l’ecstasy di Offelia, le sue multiple manifestazioni.

Il pubblico, nella minuscola sala, reagisce con calore e partecipazione, capisce e si fa sedurre e trasportare da questa ecstasy, flusso, quintessenza di teatro.

 

Tratto dal testo Offelia di Luca Cedrola (Nardini Editore)
adattamento drammaturgico e regia Graziano Piazza
con Viola Graziosi
musiche originali Arturo Annecchino
produzione Associazione Città Teatro

Dal 5 al 15 dicembre al Teatro Franco Parenti