Il senso di Rifici per Shakespeare. Un’interpretazione (fin troppo) ambiziosa del “Sogno di una notte di mezza estate”
@ Lisa Tropea, 20 dicembre 2024
Il regista e artefice di questa inedita lettura del Sogno di una notte di mezza estate, Carmelo Rifici, sceglie di sottolineare come qui non si tratti solo di magie, schermaglie amorose e creature tra il fantastico e il mitologico, ma di un testo persino politico che racconta un potere ossessionato dall’estromissione di una diversità che appare indomabile: “In un tentativo di impossibile armonizzazione degli opposti, – afferma il regista nel libretto di sala – un maschile prevaricatore si contrappone a un femminile continuamente oggetto di violenza, l’ordine di Atene si specchia nel caos della foresta, mentre l’elemento pulsionale della sessualità viene ‘addomesticato’ dai matrimoni”. La critica contro la rigidità di questo sistema, che oggi, privi di fantasia lessicale come siamo, definiremmo patriarcale, percorre tutto l’originale di Shakespeare ma anche e soprattutto la scrittura complementare di Favaro, che dà voce, roboante e disperata, alla ribellione femminile al potente di turno, che sia il Re (Teseo che costringe Ippolita, suo bottino di guerra, alle nozze), il Padre (Egeo che vuole imporre alla figlia Ermia di sposare il proprio prescelto, mettendo da parte i sentimenti della giovane) o il marito geloso (Oberon che strega e umilia la moglie Titania pur di sottrarle il ragazzino su cui si sono concentrate tutte le sue attenzioni). E’ così che si sviluppa la glossa in versi di Favaro, che usa in modo arbitrario personaggi originariamente poco sviluppati, come Filostrato e Ippolita, per far loro pronunciare discorsi sprezzanti nei confronti dello status quo. Filippiche che vengono declamate al microfono, recitate in maniera stentorea, e sembrano stridere espressamente con la leggiadria del mondo fatato che abita la foresta fuori da Atene.
L’intimità del Teatro Melato, dove il palcoscenico è quasi un tutt’uno con le sedute degli spettatori, aumenta l’efficacia di una scena scabra ma potente: terriccio sul pavimento, una vasca che s’inabissa sotto terra e sullo sfondo una grande quinta fatta di specchi che riflettono sì la realtà ma che possono anche essere attraversati, permettendo l’accesso a un’altra dimensione, quella immaginifica, che conferisce profondità al mondo reale. I costumi sono attualizzati, con un’Ippolita in versione “dark” particolarmente efficace.
Grazie all’entusiasmo e all’energia dei giovanissimi interpreti, formati proprio da Rifici alla Scuola “Luca Ronconi” del Piccolo Teatro, lo spettacolo riesce a mantenere un buon ritmo; il continuo cambio di registro e la coesistenza di più generi teatrali costituiscono una prova attoriale davvero completa e impegnativa, considerata la lunghezza della rappresentazione.
La vera magia di questo testo di Shakespeare è l’ambivalenza e il continuo non disvelamento della realtà, una coesistenza di opposti che si rispecchiano l’uno nell’altro, un’ambiguità che resiste all’esigenza razionale e definitoria del dualismo occidentale. Ci si chiede quindi se quest’ambiziosa operazione di continua spiegazione/semplificazione “a tesi” del Sogno, che oscilla sempre tra commedia e senso del tragico, sia davvero coerente con l’afflato poetico dell’originale: arditamente, si tenta di esplicitare le connessioni con la contemporaneità, rischiando però di tradire la dichiarata essenza onirica e eterea delle vicende narrate, che proprio per questa loro indefinitezza restano metafore interpretabili e capaci di parlare agli spettatori di ogni tempo.
Anche l’azzardato sdoppiamento in due attori del personaggio di Puck sembra talvolta cadere nel caricaturale: i due aspetti complementari del folletto, insieme infantile e dispettoso, non sembrano più lati di una stessa medaglia se interpretati da due attori diversi, uno piagnone e fragile, l’altro cattivo in senso quasi mefistofelico; la perdita di levità di quest’affascinante creatura fiabesca è l’effetto collaterale del tentativo manicheo di esplicitare l’ambivalenza, un po’ come se cercassimo di dividere il nero e il bianco nell’unità dialettica di Yin e Yang. Eppure è proprio a Puck che viene affidato il compito prima di accecare, attraverso un liquido che provoca l’innamoramento, diversi personaggi della commedia, per poi farli tornare in sé, manifestando loro ma soprattutto al pubblico quanto l’amore possa essere ingannatore, pur regalando gioia e piacere.
La scena di metateatro che Shakespeare ha voluto incastonare nell’opera dà inoltre vita a uno dei suoi personaggi più comici, Bottom: i siparietti della compagnia chiamata a rappresentare uno spettacolo per le nozze di Teseo e Ippolita allenta la tensione tra reale e ideale, tra sogno e verità, ci toglie dall’imbarazzo e dall’illusione di poter scegliere tra i due aspetti intrinseci dello stare al mondo, e ci fa tornare con i piedi per terra, nelle piccinerie della nostra umanissima approssimazione e del nostro desiderio di essere ammirati.
Sogno di una notte di mezza estate
(commento continuo)
PRIMA ASSOLUTA
di William Shakespeare / Riccardo Favaro
regia Carmelo Rifici
scene Paolo Di Benedetto
costumi Margherita Baldoni
luci Manuel Frenda
cura del movimento Alessio Maria Romano
musiche Federica Furlani
assistente alla regia Ugo Fiore
con Giacomo Antonio Maria Albites Coen, Andrea Bezziccheri, Agnese Sofia Bonato, Clara Bortolotti, Stefano Carenza, Bianca Castanini, Simone Pietro Causa, Giada Francesca Ciabini, Miruna Cuc, Simona De Leo, Silvia Di Cesare, Daniele Di Pietro, Marco Divsic, Ion Donà, Ioana Miruna Drajneanu, Cecilia Fabris, Joshua Isaiah Maduro, Pasquale Montemurro, Sofia Amber Redway, Edoardo Sabato, Caterina Sanvi, Pietro Savoi, Simone Severini, Lorenzo Vio
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa