“Il mostro di Belinda”: una delicata favola di formazione attraverso l’immaginario e la metamorfosi

Il mostro di Belinda: una delicata favola di formazione attraverso l’immaginario e la metamorfosi al Teatro Studio Melato di Milano

@Rinaldo Caddeo, 13 novembre 2024

Situata all’incrocio fra Cenerentola e La Bella e la Bestia, la struttura della fiaba di Italo Calvino Bellinda e il mostro, contenuta nella raccolta Fiabe italiane, è di fatto suddivisa in due parti.

La prima presenta un carattere narrativo-descrittivo realistico. Descrive i requisiti e le peripezie della famiglia di Bellinda. Bellinda è umile, bella e laboriosa. Ha due sorelle, Assunta e Carolina, superbe, pigre e invidiose. Il padre, ricco mercante impoverito a cui un bel giorno giunge la buona novella del ritrovamento dei beni perduti, chiede alle figlie che regalo desiderano. Assunta e Carolina chiedono vestiti sfarzosi, Bellinda una rosa. Al ritorno del viaggio compiuto per recuperare i suoi beni, il mercante si perde e la notte, bloccato per strada da una bufera, si trova a mal partito.

A questo punto inizia la seconda parte, in cui prevalgono gli aspetti del fiabesco e del meraviglioso. Il mercante entra in un palazzo incantato, trova la rosa per Bellinda ma anche un Mostro che gli impone di portargli sua figlia se non vuole subire una tremenda persecuzione. Bellinda accetta tranquilla di andare a vivere con il Mostro. Il Mostro dopo averle chiesto, ripetutamente ma invano, di corrispondere il suo amore per lei, si ammala gravemente e Bellinda, impietosita, decide di sposarlo, capendo che soltanto così si sarebbe salvato da morte sicura. Il Mostro, che era stato vittima di un incantesimo, ridiventa un bel principe.

La realizzazione di Chiara Guidi si concentra sulla seconda parte della novella calviniana e sfrutta tutto lo spazio che offre lo spazio scenico dello Studio Melato. Bellinda diventa Belinda. Il palazzo, rappresentato non solo dal palcoscenico ma anche dalla platea con gli spettatori e dalle gallerie, diviene una sorta di Wunderkammer, di spelonca archetipica della paura e delle meraviglie. Gli attori non arrivano dalle quinte ma dalla platea. Dagli anfratti delle gallerie provengono echi di voci di bambini che s’inseguono, introducono e fomentano, scherzose e impertinenti, lo svolgimento della storia. Voci che, come gli amorini del mito, colpiscono con frecce invisibili la nostra Belinda costringendola a non fuggire. La convincono a tornare sui suoi passi, a piegarsi e impietosirsi di fronte al Mostro e ad abbracciarlo, come lui le aveva chiesto più di una volta, condividendone l’amore. C’è inoltre un personaggio aggiuntivo, con il corpo da uomo e la testa di rana, che sembra uscito da una novella de Lo cunto de li cunti di Basile. Personaggio buffo, proiezione metamorfica della figura paterna, funge da aiutante della nostra protagonista.

Infine Belinda, togliendo la maschera di teschio al Mostro, scopre che sotto l’orrifico guscio c’è un baldo giovane. Un Principe bello e gentile che si era precedentemente annunciato solo per mezzo della voce.  L’allestimento curato da Chiara Guidi, riesce, con leggerezza, esattezza e rapidità, (criteri fondamentali delle Lezioni americane di Calvino), a reincarnare la narrazione sostanzialmente disincarnata dell’autore (dove mancano descrizioni fisiche sia della bellezza di Bellinda sia della bruttezza del Mostro) costruendo una rete di voci. La voce è prioritaria, sia quella scura, cavernosa e terrifica, del Mostro, sia quella chiara, argentina degli amorini, o quella impaurita del padre, o quella vibrante e appassionata di Belinda. Ci restituisce e inventa, in una molteplicità di corrispondenze, attraverso la gestualità, e la sonorità ridondante, un’ambientazione panteista, dove umano, animale, vegetale, minerale, si rimandano l’uno all’altro, si mescolano e infondono energia e messaggi, giocando su di una modulazione di corpi, aerei e umani, che innestano l’ironia garbata e pungente del meraviglioso ariostesco di Calvino alle ibridazioni e alle metamorfosi di Basile e di Apuleio (e di un certo Shakespeare).

Tutto è vivente e il vivente, come la rosa, parla e interagisce attivamente con gli esseri umani. Le altre due sorelle, come gli amorini, sono eteree, non hanno volto. Sono luci/stelle/voci. A noi di loro arrivano solo echi.

Impeccabile, senza sbavature, la recitazione di Maria Bacci Pasello, Eugeniu Cornitel, Alessandro De Giovanni.

Morale della fiaba? Le apparenze ingannano. La realtà, oltre che affollata di imprevisti, è un misto di aggressività e dolcezza. Dietro la bruttezza e l’appariscente cattiveria si possono nascondere e alimentare bene e bontà. Si tratta di capirli e accoglierli, lasciandoli agire su di noi.

 

Il mostro di Belinda 
metamorfosi di un racconto 
PRIMA ASSOLUTA
da un’idea di Chiara Guidi
drammaturgia Chiara Guidi e Vito Matera
composizione sonora Scott Gibbons
scene, luci, costumi Vito Matera
con Maria Bacci Pasello, Eugeniu Cornițel, Alessandro De Giovanni
con le voci di Demetrio Castellucci, Chiara Guidi, Anna Laura Penna, Giulia Torelli
e con la voce di Lavinia Bertotti
voci infanti Bice e Maddalena Bosso; Eva, Lia e Nora Castellucci; Enrico, Iris e Michele Guerri; Amedeo Matera, Daphne Sophia e Ophelia June Nguyen; Gabriel Rotari; Agata e Federico Scardovi; Mia Valmori
cura del suono Andrea Scardovi
tecnica Francesca Pambianco
realizzazione scene Attosecondo
assistente costumista Chiara Venturini
cura Irene Rossini
direzione di produzione Benedetta Briglia
direzione tecnica Eugenio Resta
equipe tecnica in sede Lorenzo Camera, Carmen Castellucci, Francesca Di Serio, Gionni Gardini, Dario Neri
amministrazione Michela Medri, Elisa Bruno, Simona Barducci, Massimiliano Coli
redazione Cristina Ventrucci
produzione Societas
in coproduzione con Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Fondazione Teatro Ragazzi e Giovani – Onlus, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale