Paradossi della ragione nella pirandelliana giara, tra musica e danze. Al Platamone di Catania

Paradossi della ragione nella pirandelliana giara, tra musica e danze. Al Platamone di Catania

@ Anna Di Mauro, 18 giugno 2024

Il canto è il rituale con cui i lavoratori di terra e di mare accompagnavano il lavoro per darsi ritmo e forza. Così ha inizio questa edizione de “La giara” di Luigi Pirandello, curata da Giuseppe di Pasquale che ha introdotto un tappeto sonoro di musiche originali composte dal maestro Matteo Musumeci eseguite in scena, ad accompagnare e sottolineare la durezza della vita dei contadini, sfruttati da padroni come il “maledetto” Don Lollò, l’Imperatore, dedito unicamente ad accumulare “la roba” di verghiana memoria. Nella sua assolata campagna siciliana è il tempo della raccolta delle olive. Tre donne cantando raccolgono faticosamente nei sacchi il prezioso carico, mentre trasportata da quattro uomini fa ingresso una giara di notevoli proporzioni destinata a contenere l’olio dell’annata, che si prevede ricca. È costata ben quattro onze all’avaro proprietario che la tratta come una reliquia, facendola issare sul punto più alto della radura antistante la casa, riprodotta scenograficamente con un efficace andirivieni di viottoli stratificati. Durante la notte però un garzoncello, novello Davide, armato di fionda, ha tirato una pietra che colpisce la giara spaccandola. Nessuno ha visto niente. Le ire funeste di Don Lollò vengono placate dai suoi contadini che lo consolano della terribile perdita con una buona notizia: Zi’ Dima può riparare la giara. L’artigiano ripara le terrecotte con un mastice miracoloso, ma Don Lollò non si fida e vuole anche i punti. Inizia il conflitto tra i due contendenti. Zi’ Dima infine accetta a denti stretti (il maledetto bisogno?) di eseguire la riparazione anche con i punti. Per fare questa operazione però deve entrare nella giara. Quando finisce il lavoro si accorge che non riesce a venirne fuori; può uscirne solo spaccando la giara.

Don Lollò, che a sua volta ha pagato il lavoro eseguito, accetta, ma a patto di essere risarcito per il danno che deve subire. Zi’ Dima si rifiuta di pagare l’ingiusta penale, trovandosi in quella situazione per colpa di Don Lollò che aveva preteso i punti, e dichiara che piuttosto rimane dentro la giara, scatenando la furia incontenibile del proprietario che finirà per sferrarle un calcio che la fa cadere rompendosi e liberando il vittorioso prigioniero. L’acume e l’ostinazione della classe diseredata è riuscito ad avere la meglio sull’arrogante potere del denaro. Ancora una volta l’umorismo pirandelliano solletica l’animo dello spettatore inducendolo tuttavia ad amare riflessioni. I soprusi dei padroni ridicolizzati non cancellano l’amara realtà della dura esistenza dei “vinti”.
Conflitto di classe e conflitto di ragione nella paradossale vicenda vengono macchiettisticamente interpretati dall’intramontabile ultranovantenne Tuccio Musumeci nei panni del flemmatico Zi’ Dima e da Angelo Tosto nella veste del tracotante Don Lollò. I due attori catanesi, che godono di un meritato prestigio nel teatro di tradizione, qui si fronteggiano come caratteristi, in un giocoso e tragicomico dispiegarsi della filosofia pirandelliana, sempre genialmente dedita a scavare nelle ambiguità dell’animo umano. La miseria e l’ingegno da una parte, la ricchezza e l’ottusità dall’altra dei due maturi contendenti ricordano le burle boccaccesche, infarcite e vivacizzate dal cast giovanile ed esuberante dei contadini che ha generosamente accompagnato la disputa, conferendo allo spettacolo scenograficamente tradizionale un taglio dinamico e divergente.

LA GIARA
di Luigi Pirandello
regia Giuseppe Dipasquale
con Tuccio Musumeci
e con Angelo Tosto, Filippo Brazzaventre, Pietro Casano, Luciano Fioretto, Claudio Musumeci, Vincenzo Volo, Lucia Portale, Ramona Polizzi, Federica Gurrieri
coproduzione Teatro Stabile di Catania, Teatro della Città – Centro di Produzione Teatrale

Al cortile Platamone di Catania fino al 21 Giugno