Alessandro Barbero, All’arme! All’arme! I priori fanno carne!, Laterza, Bari 2023
@ Rinaldo Caddeo, 4 dicembre 2023
Che cosa significa l’inconsueto titolo dell’ultimo libro di Alessandro Barbero?
Occorre leggere una sessantina di pagine per trovare la risposta: è il grido di allarme, lanciato per le strade di Firenze, dall’orologiaio di Palazzo Vecchio, all’alba del 20 luglio 1378, per incitare il popolo a difendersi dal pericolo di una repressione violenta. I priori fanno carne, vuol dire: i capi del governo stanno per massacrare il popolo.
Siamo nel pieno della sommossa dei Ciompi.
I Ciompi sono operai, per lo più lavoratori della lana, esclusi dalla democrazia corporativa fiorentina. L’Arte della Lana, cioè la Corporazione della Lana, è costituita dai mercanti-imprenditori che importano la lana greggia e organizzano la trasformazione in prodotto finito e la vendita. È una delle più ricche e potenti corporazioni della città che eleggono, insieme alle altre Arti, maggiori e minori, i priori, cioè il governo. Con la rivolta del 1378, per la prima volta nella storia, gli operai formano tre nuove Arti (l’Arte del Popolo di Dio, l’Arte dei Tintori, l’Arte dei Sarti) e ottengono il diritto di entrare a far parte del governo della città.
Con quali poteri? Per quanto tempo? Con quali conseguenze?
In questo breve ma denso libro di storia, con una narrazione avvincente, che ci mette in medias res, in mezzo alle cose, alle persone, ai loro problemi e alle loro aspettative, Barbero, uno dei maggiori storici italiani del Medioevo e non solo, (autore anche di romanzi che spaziano dall’antica Grecia ai tempi moderni), risponde a queste e a molte altre domande e ci parla anche di altre tre rivolte: la Jacquerie francese del 1358, l’insurrezione contadina, ma non solo contadina, inglese del 1381, la rivolta piemontese dei Tuchini del 1386.
La sua tesi di fondo è che le rivolte medievali, (contrapposte spesso e volentieri dagli storici alle rivoluzioni moderne), non furono fiammate violente e istintive, prodotte dalla disperazione e dalla fame. Vale l’esatto contrario: «i rivoltosi sapevano quello che stavano facendo, avevano rivendicazioni precise e si battevano consapevolmente per realizzarle.» (p.5). «Tutti i dati di cui disponiamo dimostrano che dopo la prima grande epidemia di peste [la peste nera del 1348] la drammatica riduzione numerica della popolazione garantì un significativo innalzamento del tenore di vita dei salariati.» (p.162).
Tanto è vero che per la rivolta dei Ciompi, Barbero ritiene che si possa parlare di una vera e propria rivoluzione.
Morale della favola?
«Non è quando non si arriva alla fine del mese, ma quando si comincia a stare meglio e non si ha più fame che si alimentano maggiori speranze per il futuro e si acquista consapevolezza dei propri diritti, e questa costante accomuna epoche solo in apparenza così distanti come quella medievale e la nostra.» (p.163).