“Sai che tornerò”, Somara!Edizioni. Una straordinaria lezione di vita di tre grandi scrittrici uccise ad Auschwitz
@ Anna Di Mauro, 29-06-2022
Alcuni incontri nella vita possono risultare determinanti. Le scrittrici proposte nel commovente e sapiente libro della studiosa Mercedes Monmany “Sai che tornerò”, Somara!Edizioni, lo sono veramente e profondamente. Vite interrotte dalla violenza inutile dei campi di sterminio, Etty Hillesum, Gertrud Kolmar, Irène Némirovsky, non hanno abdicato alla loro umanità, affidando il loro facondo e libero pensiero a una parola alata. Leggere i loro diari è un’immersione profonda e sanante nell’inaspettata scrittura salvifica, messaggera di pace, che si innalza come un canto dai campi di sterminio da cui le tre scrittrici ebree, travolte dalla lucida follia nazista, non sono ritornate; non il corpo, ma la voce sì, con una coinvolgente scrittura che onora il loro cammino illuminando il nostro; una voce che si impone, al di là del loro destino umano, come recita lo struggente titolo “Sai che tornerò” che è la frase ricorrente di una lettera di Hélène Berr, giovane ebrea assassinata nel lager di Bergen-Belsen nell’Aprile del ’45.
Leggere le loro parole è un impatto emozionante, nutriente, decisivo, che sveglia la mente, una lettura benefica, che può aiutarci a capire anche il nostro presente, come sostiene Nadia Fusini durante la presentazione online del libro, conversando con l’autrice dei ritratti di queste donne accuratamente tracciati, che ha voluto soprattutto approfondire come siano riuscite a difendere la loro dignità umana nella barbarie, conservando la fede nella scrittura, nella nobile parola che sostiene un destino di morte, il gesto vitale che conduce oltre la fine. L’atto della scrittura così diviene vita. Questa loro forza interiore, questa lotta civile silenziosa e fertile al di sopra di un mondo fuori dalla realtà, stupiscono, commuovono, additano un percorso di rinnovamento, di superamento dei nostri limiti apparenti.
Nell’intensa prefazione Nadia Fusini sottolinea il valore di queste testimonianze come memoria ma anche come speranza di un futuro diverso, e al tempo stesso un segnale d’allarme per rimanere vigili, a sorvegliare sullo scempio che le insane orde del Potere fanno della nostra umanità, unico grande valore dell’esistenza. La valenza straordinaria di queste donne sta infatti nel non avere mai abiurato alla loro umanità, miracolosamente. Il libro racconta molto bene questo miracolo. Le nostre messaggere di un nuovo mondo hanno saputo resistere al Male con coraggio straordinario, evitando l’odio, conservando la fiducia nel Bene, esercitando la forza interiore. Hanno vinto il nemico “vincitore”.
Sin dalla prima pagina parole di miele inneggiano alla vita e alla speranza:
“Tornerò”, “Questa vita è bella e piena di significato”, “Fino a quando tutto questo esiste…sole, cielo senza nuvole io non posso essere triste”. Hélène, Etty, Anne, voci giovani o appena adolescenti, aspiranti scrittrici protese verso un futuro luminoso, con i loro diari immortali sono riuscite a farsi ascoltare, nonostante la barbarie nazista abbia voluto spegnerle per sempre.
Nella scrittura, in questa scrittura risiedono le ragioni di un conforto, il superamento, il riscatto della dignità umana. Accanto alle loro voci altre voci di sopravvissuti al genocidio si alzano a illuminare le pagine oscure del tremendo olocausto: Hanna, Heda, Jona.
“Preservare l’umanità nel suo insieme è la missione di queste giovani ebree”, scrive Etty Hillesum.
Mercedes Monmany, appassionata curatrice del libro, frutto di un lungo e dovizioso lavoro filologico di ricerca, ha infarcito le pagine di innumerevoli e preziose testimonianze dei diari degli scomparsi e dei sopravvissuti, da Weil a Kertèsz, Nobel per la letteratura 2002, a Sebastian, recuperate nell’ultimo decennio. Per citarne alcuni è il caso del quadernino miracolosamente salvato della tredicenne Eva Heiman e del Diario di Peter Ginz, adolescenti ebrei assassinati a 13 e 16 anni; o ancora dei giovanissimi poeti Selma Meerbaum e Jirì Orten, falciati dalla furia omicida o ancora le memorie “Vivere ancora” dell’allora undicenne Ruth Klüger, sopravvissuta al genocidio, che combatterà nel suo libro con il pregiudizio della mancanza di umanità e solidarietà degli internati insieme all’incredulità della sua sopravvivenza.
Impossibile soffermarsi sulla miriade di scritti che la Monmany ha scrupolosamente e amorevolmente intercettato, esplorando la ricchezza dei contributi dei figli dell’Olocausto.
Tra tutte queste voci l’autrice ha scelto quella di tre donne di altissima qualità morale e letteraria, assassinate nel fiore degli anni ad Auschwitz, campo-simbolo delle atrocità naziste:
Il Diario profondo e originale dell’olandese Etty Hillesum, morta a 29 anni, scritto nel ’41 durante l’internamento.
Le suggestive poesie di Gertrud Kolmar, berlinese morta a quarantotto anni.
I romanzi della scrittrice francese di origini russe Irene Némirovsky, tra cui il celebre “Suite francese”, morta a trentanove anni.
Le loro opere, di straordinaria potenza, smarrite e infine recuperate, hanno suscitato una grande commozione nell’opinione pubblica.
Rimasto a lungo sconosciuto, il Diario della Hillesum, che scelse volontariamente la deportazione per condividere il destino dei suoi compagni di sventura, scritto con stile arguto e affascinante, è ricco di riflessioni spirituali, filosofiche, e soprattutto, ciò è veramente notevole, il suo pensiero non serba alcuna traccia di odio o risentimento verso i suoi persecutori. “Una volta è Hitler, un’altra è Ivan il Terribile…l’inquisizione, le guerre, o la peste i terremoti e la carestia. Quel che conta in definitiva è come si porta, sopporta e risolve il dolore e se si riesce a mantenere intatto un pezzetto della propria anima.” scrive Etty nel suo emozionante diario, aprendo orizzonti di rivoluzionaria bellezza alle generazioni future, perché non smise mai di credere nella vita, di avere fiducia, di conclamare “La vita è bella!”, con spirito indomito, salda nella mente e nel cuore. Non era sempre stata così. L’incontro con un chirologo, Julius Spier, l’aveva portata a una crescita personale improntata a una religiosità sostanziata da letture approfondite, sua vera risorsa nel momento più grave della sua esistenza. Fu lui a consigliarle di tenere un diario. La lezione di vita di Etty è meravigliosamente sorprendente: non importa quel che accade, è importante conservare e sostanziare la nostra dignità umana, soprattutto nelle circostanze più drammatiche.
Gertrud Kolmar, berlinese, cugina del famoso Walter Benjamin, prima di essere deportata a quarantotto anni, aveva scritto tre libri di poesie, con la sua inconfondibile vena visionaria e ammaliante. Riscoperta tra la fine del XX secolo e gli inizi del XXI, Gertrud affronta nei suoi componimenti i grandi temi dell’amore, della maternità ferita, del suo ancestrale rapporto con la natura, in mondi lontani primigeni, vagheggiati nell’Asia o immaginari, evasioni corpose da una realtà che divenne sempre più drammatica, fino al campo di sterminio. Anche lei, ispirandosi a Spinoza, accetterà serenamente il suo destino, guadagnandosi “una libertà umana interiore.”
Irene Némirovsky è l’ultima, importante voce di questo straordinario coro di speranza e amore. Nel suo libro più rappresentativo “Suite francese” uscito nel 2004 (Adelphi ha da poco pubblicato la “seconda versione” del libro – dattiloscritta dal marito, corretta a mano da lei e contenente quattro capitoli nuovi e molti altri profondamente rimaneggiati, con il titolo “Tempesta in giugno”, ndr), una dolorosa testimonianza della seconda guerra mondiale in Francia, l’idea centrale è “risolversi in una lotta fra il destino individuale e il destino collettivo, senza doversi schierare”. Considerata un’ebrea antisemita, per le sue idee poco gregarie, lontane dalla visione idealizzata dell’ebreo errante e perseguitato, la Némirovsky nel suo romanzo non rappresenta gli ebrei, bensì la Francia in ogni sua piega, partendo dal caos generato dall’invasione dei tedeschi nel ’40. Nonostante l’orrore di quei giorni la scrittrice promette a se stessa “di non riversare mai più il mio rancore su una collettività di uomini”. Il suo sguardo si posa sulla complessità dell’essere umano senza pregiudizi o schieramenti, uno sguardo lucido, spietato, al di là dei soliti schemi, uno sguardo scomodo e sincero, nutrito da una grande compassione per il destino del suo popolo.
“Sai che tornerò” è un testo importante per conoscere meglio le tre autrici, ma soprattutto per cercare di capire e andare oltre la tragedia dell’Olocausto e tutte le tragedie di cui è costellato il nostro breve cammino.
Mercedes Monmany
“Sai che tornerò. Tre grandi scrittrici ad Auschwitz”
Somara! Edizioni
Euro 18.00