Orsolina 28 e Ohad Naharin: un’oasi di creatività

Orsolina 28 e Ohad Naharin: un’oasi di creatività

@Cristina Dalla Corte, 04/07/2022

A Moncalvo, nel Monferrato, un’ora di auto da Torino, si trova Orsolina 28 Art Foundation, un sogno per ogni artista, danzatore, coreografo.
Mentre mi aggiravo in questa visione, restavo incantata dalla cura e dall’amore che trasudavano da tutti gli elementi. Gli spazi, le sale prova e studio, perfettamente incastonati nel contesto naturale, come pietre preziose; alcuni sommersi da piante tropicali, altri minimalisti dedicati ai bonsai, altri orientali come le vasche percorse da ninfee che purificano l’acqua delle piscine. L’arte al centro del progetto, un luogo di bellezza, pace e serenità, dove il benessere fisico e psichico dei danzatori e dei coreografi è al primo posto.
L’ambizioso e unico progetto nasce da Simony Monterio e Michele Denegri, che nel 2016 trasformano un angolo delle colline di Moncalvo, un ex convento delle Orsoline, in una fondazione artistica privata, creando una valle culturale, con biotecnologie e cura della natura e dell’impatto ambientale, dove grandi maestri e giovani artisti, compagnie internazionali possano risiedere nel glamping tra gli alberi e condividere vita e creazioni.

Simony Monterio è il vero motore di questa meraviglia; newyorkese di origini brasiliane, ballerina e appassionata di danza, si è formata con le migliori compagnie americane come American Ballet e Alvin Ailey, per arrivare qui e costruire un tempio per la danza.
Grazie alla collaborazione di Ohad Naharin, alla sua passione visionaria, nasce The Eye, una struttura architettonica versatile, pronta per ospitare seminari, spettacoli e performance di grande originalità. Con una superficie di 435 mq, è perfetta per le sessioni di Gaga (il nuovo training coniato da Naharin) ma anche per essere trasformata in spazio aperto o suddiviso, come per la prima di questa sera.

La Batsheva Dance Company, originaria di Tel Aviv, torna a Orsolina 28 per inaugurare The Eye, con il nuovo spettacolo in anteprima internazionale: 2019.
I diciotto magnifici ballerini, volutamente tutti diversi per etnie e fisionomie, costruiscono un percorso emotivo esplosivo su una striscia di palco stretta e lunga (una passerella da sfilata), con due accessi da due porte opposte, che appare come un lembo di terra conteso da tanti, e da troppo tempo.
Lo spettacolo parla alla pancia dello spettatore da subito: il pubblico si trova su una gradinata, il palco è chiuso da un telo per tutta la lunghezza e l’altezza; quando il primo danzatore con ironia si presenta su un paio di zeppe da 20 cm e si fa guardare, con piccoli sorrisi e gesti crea un’intimità percettibile, una vicinanza.
Scioglie la tensione e l’attesa, strappa il telo che copriva il palco e, con grande sorpresa, si viene catapultati in una realtà-specchio: di fronte c’è altro pubblico, uguale e diverso da te, che ti guarda, che saluta, che sorride. Questo spettacolo parla di noi, di vicinanza, di sensazioni forti a volte esplosive, alternate a piccoli gesti intimi.
Poetici e immaginari, i danzatori sono uomini e donne frenetici, inquieti, che si muovono compatti come uno sciame, in uno spazio esiguo e conteso, dove tutti sono allo stesso tempo in massa, ma soli. Si marcia con tacchi a spillo, ordinati, perfetti come soldatini inquadrati, poi improvvisamente si scappa, ci si abbraccia, si fa la guerra, si sfila tristi e rallentati senza forze e senza meta e si riparte, si schizza via di corsa, si impazzisce.

Lo spettacolo è dedicato al padre, alla propria terra, al lungo conflitto ed alle radici storiche. Nelle musiche mediorientali si mescolano canzoni arabe, trap iraniano, filastrocche ebraiche per bambini; da Card Games cantata da Moshe Cohen a Fairuz di Ana La Habibi, a un testo in ebraico scritto dopo la “guerra dei sei giorni” del 1967 dal drammaturgo israeliano Hanoch Levin.

Amore, paura e conflitto che può sempre scoppiare, vengono interpretati nel totale disinteresse della comunicazione narrativa, con un linguaggio ironico e ambiguo, dove si ritrova innocenza, crudeltà e gioia rinnovata. I danzatori, con la loro vicinanza, costruiscono, attraverso sguardi, calore del corpo, pelle sudata, una relazione con lo spettatore che alla fine, quando si sdraiano a riposare sulle gambe del pubblico su una coperta, diviene contatto (qualcuno li arieggia per il caldo, qualcun’altro li tiene amorevolmente, altri li accarezzano percependo la loro fatica e il loro calore): un mondo dove c’è guerra ma c’è anche amore, solitudine e condizionamento, figli e madri.
Questo spettacolo profuma di terra, di origini, di umanità che subisce, spesso esegue, senza pensare o senza la forza di reagire; Naharin è un uomo di grande energia, i suoi spettacoli hanno una personalità dirompente, arrivano con forza e ti toccano in profondità.

Orsolina 28
Moncalvo
18 e 19 giugno 2022
2019
Anteprima internazionale
Batsheva Dance Company

Lighting Design: Avi Yona Bueno (Bambi)
Costume Design, styling: Eri Nakamura
Stage and Set Design: Gadi Tzachor
Soundtrack Design and Original Music: Maxim Waratt
Sound Design: David (Dudi) Bell
Musical Advisor, Mastering: Nadav Barnea
Assistant to Ohad Naharin and Eri Nakamura: Ariel Cohen
Music: “Card Games” by Iarmi Kadoshi performed by Moshe Cohen, “Locust Star” by Neurosis, “Boukyou” by Hako Yamasaki, “Hine ma tov umanaim” Psalms/Moshe Yakobson, “Bashana Haba`a” – Ehud Manor/Nurit Hirsh, “Ana le Habibi” by Rahbani Brothers/Fairuz, “Saikai” by Hako Yamasaki, “Maqlooba” by V.F.M. style, “You, Me and the Next War” – Hanoch Levin/Maxim Waratt, “LaKova Sheli” – folk song, “Caspian” By Asadi.
Accordion: Uzi Rosenblat
Cello: Noa Ayali
Director of Sound: David (Dudi) Bell
Jewelry Design: Liron Etzion, Keren Wolf
Acknowledgments: Roni Azgad, Lillian Barreto, Zach Bar, Deaf Chunky, Michal Helfman, Wael Kubtan, Neta Lee Levi, Gil Markovich, Orly Morag, Avi Pitchon

In collaborazione con Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale e Torinodanza festival