Una Mirandolina anni ’50 fra calcolo e canzonette. ‘La locandiera’ di Luca De Fusco al Teatro Goldoni di Firenze
@ Mattia Aloi, 12-05-2022
Attraverso i secoli le modalità relazionali fra uomini e donne sono rimasti gli stessi, per cui anche se ne La locandiera diretta da Luca De Fusco gli abiti, gli arredi e il jukebox spostano idealmente il calendario agli anni ’50 del Novecento, le battute restano saldamente ancorate al copione originale, con qualche slittamento verso inflessioni meridionali. Questa variazione glottologica porta una boccata d’aria fresca all’interno delle situazioni goldoniane, dando forza alle battute e facendo risaltare i lati comici dei personaggi; va menzionato in particolare Vittorio Ciorcalo, che ci regala un Marchese di Forlipopoli memorabile per verve comica da caratterista. Le canzoni si inseriscono bene nel corpo dello spettacolo senza spezzare il ritmo della commedia, andando a enfatizzare il trionfo dell’emozione sulla ragione; attraverso le canzoni la locandiera (Lara Sansone) e Fabrizio (Gennaro Di Biase) costruiscono l’intimità reciproca tesa a rendere meno improvvisa la decisione di Mirandolina di sposare il cameriere. Decisione che non va letta come resa, bensì come ennesima affermazione del carattere pragmatico di Mirandolina, talmente astuta e machiavellica nell’arte dell’apparire da non trovare rivali nemmeno nelle due attrici (Cinzia Cordella e Gilda Postiglione): mentre queste due vedono il palcoscenico e la vita come due luoghi separati, per la locandiera la separazione è fra quanto lei pensa nel suo intimo e come appare la sua persona agli occhi del mondo (persona proviene dal latino persōna, che significa maschera). Il nevrotico Cavaliere di Ripafratta, interpretato da Giacinto Palmarini, non può che capitolare poiché nel profondo è quanto desidera: la sua scontrosità è una chiara richiesta di attenzioni, e la misoginia scaturisce proprio dalla presa di coscienza dell’attrazione che prova verso il gentil sesso e dalla paura del potere che esercita su di lui. Mentre l’amore del Conte (Francesco Biscione) e del Marchese si nutre di ostentazione e di ricerca di predominio per mezzo del successo economico il primo e dello status sociale – la casta – il secondo, quello che il Cavaliere finisce per provare è l’abbandono totale e l’asservimento al sentimento che lo pongono in condizione di svantaggio. Comprese queste dinamiche è ovvio concludere che il sentimento di Fabrizio sia l’unico pragmaticamente degno di essere corrisposto, in quanto relazione fra pari da cui entrambi trarranno profitto.