La scrittura materica di Maylis de Kerangal

La scrittura materica di Maylis de Kerangal

@Claudia Cassio, 23-04-2002

2014 anno dell’ incontro con Maylis de Keragal in Riparare i viventi. Romanzo esca che cattura altre letture: il prima e il dopo. La complessità di un labirinto di cui è difficile intuire l’uscita. Manca un nesso tra i titoli. Nascita di un ponte, Riparare i viventi, Corniche Kennedy, Un mondo a portata di mano sono quattro storie diverse. Difficili da collegare, ma l’eco della personalissima scrittura di Maylis de Kerangal, ecco, quella c’è in tutti i romanzi.

Braccare la realtà (così scrive Raphaëlle Lyeris su Le monde) è uno spiraglio per sbirciare nella mente delle scrittrice francese. Coglierla mentre si documenta su argomenti che non conosce: una barricata di testi scientifici attorno, pronti da consultare. E sorprenderla mentre trasforma linguaggio specialistico in letteratura. Difatti. I romanzi spiegano con precisione come si costruisce un ponte, come si trapianta un cuore. Ci trasportano dai riti iniziatici di una banda di adolescenti a come si riproduce il mondo. Codici criptici che si sciolgono in lingua parlata, diventano ossatura, scheletro da rivestire di carne, nella quale trasfondere sangue e vita. Braccare la realtà. Tenere a mente il suggerimento, perché lì sono le fondamenta. Strato su strato – lavoro da paleontologa – le storie si montano come film. Cominciano con un’inquadratura larga. Quella notte il pulmino frena in un parcheggio deserto, si ferma di traverso… compaiono tre sagome nell’oscurità… dei ragazzi sembrerebbe… Poi zoomano… dei ragazzi, adesso si vedono bene. Se ne stanno a filo dietro il muretto che separa il parcheggio dalla spiaggia (Riparare i viventi). George Diderot sbircia dall’aereo il teatro delle operazioni, due aree immense e siamesi sono saldate l’una all’altra da una cucitura serpeggiante e da quell’altezza è un disegno di folle potenza. Poi giù, in atterraggio: Dodicimila piedi la superficie terrestre precisa la sua partitura binaria. Diecimila piedi l’area bianca vibra, crepita… mentre l’area nera resta impenetrabile… Cinquemila piedi. Seguire adesso il corso del fiume. Tremila piedi. Osservare sovrano le variazioni cromatiche del corso d’acqua. Duemila piedi. Scansionare a tutta birra il suolo che si articola. Laggiù s’intravedono conflitti. Mille pied … chiudere gli occhi. Che cantiere è? (Nascita di un ponte)

Dunque lo sguardo parte da lontano. Poi rallenta, si avvicina, l’atmosfera si condensa. Sulla celluloide di vecchie pellicole tutto avrebbe lo stesso spessore. Identica consistenza materica, minerale: luoghi, oggetti, persone. Suzanne in Corniche Kennedy: aspetta… immobile piegata sui talloni, il palmo della mano poggiato sulla fresca granulosità della roccia, ha superato gli spuntoni di ferro e marciato sul ghiaione che ti fa perdere l’equilibrio, mantiene lo sguardo aggrappato al solco tra le rocce, individua il luogo, le fissure, le gobbe del rilievo. E sembra appena una variante di quel terreno impervio. È come se tutto fosse palpabile: le luci, i colori, il dentro e il fuori. Marianne, la madre di Simon (Riparare i viventi) beve gin, liquido bianco in un bicchiere. È come i suoi occhi che hanno la trasparenza del vetro grattugiato. Accorpamenti di stati d’animo al paesaggio. La luce del giorno era bianca acquosa, diluvio di grigiore, un cielo da neve senza neve, una schifezza. Qui è successa una tragedia (Riparare i viventi). Basta un dettaglio, una parte per il tutto. Eddy è comparso per primo in un fragore liquido, orecchie chiuse palpebre gocciolanti e subito l’ha cercata… niente testa chiara, non una spalla, nemmeno un brandello di tessuto rosso (Corniche Kennedy). Sensazione fisica di aspettativa. E quegli uccelli che all’improvviso fermano un intero cantiere, ne disperdono l’energia, la velocità? Arrivano in massa a metà novembre… centinaia di macchie nere galleggianti sull’acqua lattiginosa. Un cataclisma, in poche parole, che anticipa noia, distrazione di maestranze. Alt! qui si blocca tutto.

Ancora un passo per incontrare gli scarti tra sospensione e vita, illusione e realtà. Il lenzuolo si solleva piano ad ogni inspirazione, un movimento lieve, ma percettibile, si direbbe che dorma.[…] Potrebbe essere la stanza di un malato, sì, potremmo crederlo… Invece no, il ragazzo, Simon, è spacciato in quell’ospedale di corridoi e reparti, di muri compatti e finestre, di voci concitate che si scambiano informazioni, … suole di gomma, … tintinnii metallici, campanelli d’allarme, ruote di carrelli, quel continuo brusio dei luoghi. Ma questo resoconto di quotidiano nosocomiale scivola senza cesura nell’inganno della messa in scena. La stanza del traghettatore, il Caronte, l’infermiere Thomas Rémige, è arredata come un normale alloggio, divano verde mela, sedie rosso squillante. Mettere a proprio agio i parenti, strappare il consenso all’espianto di organi, è lo scopo. E nonostante l’apparato, l’aria è artificiale, compressa pronta ad esplodere. La stanza sembra risuonare come un microfono.

Normale, in questa sarabanda di possibilità non sapere dove collocarci come lettori. Nella stanza di Simon, morte cerebrale, una macchina per respirare, per fare battere il cuore, scatola nera del corpo? Dietro le lenti del binocolo Zeiss del commissario Opéra che spia quel gruppo di giovani scapestrati, li tiene d’occhio, e forse li invidia? Opéra si alza, si avvicina alla vetrata… il lido si riduce seduta stante a una superficie di pochi metri quadri, gradone di pietra irradiata dal sole … abbraccia con lo sguardo tutta la banda, gli acrobati, gli stravaccati, le ombre cinesi che trattengono il respiro sull’orlo dei promontori, ne accompagna l’agitazione collettiva ne scorta i movimenti di gruppo, estasiato dai loro salti, dai loro scalpiti, dai loro concili, si nutre dei tumulti, del ritmo dei loro corpi. (Corniche Kennedy). Oppure nell’alternativa Il ponte contro la foresta, l’economia contro la natura, il movimento contro l’immobilità (Nascita di un ponte).

Ci si sente sempre a un passo dalla comprensione, dall’immedesimazione, invece la scrittura di Maylis de Kerangal sfugge, è scivolosa. Né pro né contro, neutrale, sperimentale come la scienza. La creazione esiste mentre si fa, dichiara l’autrice. Senza pregiudizi come in un laboratorio. Nessuna anticipazione –  potrebbe cambiare idea – sorprenderci alla pagina dopo, al finale. I suoi personaggi ambigui, spesso irrisolti, – personaggi rotti, li chiama – non aiutano a decifrare il quadro intero del suo mondo letterario: niente è scontato, neppure per loro. Non li teniamo in pugno. Non sappiamo come reagiranno. Nessuno si lascia attraversare, nessuno si confessa a noi. Sono i corpi a comunicare: la fenomenologia della fisicità. Marianne ha guidato avambracci ben paralleli e rigidi come fiammiferi (Riparare i viventi). Eddy e la ragazza sono soli sul Just Do it e lo spazio che separa i loro corpi e li concentra, quella distanza là non è mai stata così decisamente popolata… (Corniche Kennedy). È così che ce li presenta, così che mostra di che pasta è fatto quel mucchio adolescente: All’inizio i ragazzi stanno seduti, ginocchia piegate, … raddoppiano in arroganza all’arrivo delle ragazze… Eddy, sempre lui, si alza, lancia lontano il mozzicone, butta gli occhiali sulla maglietta … dà il vamos. Altri cinque o sei maschi lo seguono a ruota per arrivare al promontorio (Corniche Kennedy).

Insomma, niente introspezione, niente che non sia dichiarato da un’espressione di un volto, da un’azione. Sono più che sufficienti metafore di sensazioni: Il silenzio cola come fosse un liquido, la notte cade come un deserto di gesso. Più che sufficiente è la caratterizzazione delle persone attraverso gli oggetti: pura fisicità di cose materiali: Summer scosse la testa ridendo, imbarazzata, corse in bagno, s’infilò il casco. Si guardò allo specchio… si trovò orrenda. E Mo Yu che ha gambe sottili e profilo granitico… ripone con calma teiere e scatole di riso, lascia la cucina… e addio! Ora sotto i suoi piedi scuri la callosità si è inspessita, calli e piccole rughe vi disegnano il planisfero (Nascita di un ponte). Sono questi, tra i tanti, i flash accesi su tipologie umane, personalità perfettamente distinguibili l’una dall’altra. Persino le storie d’amore, storie carsiche, sono mute, vuote di parole, scarne di dialoghi. I genitori di Simon: si abbracciano… come schiacciati uno dentro l’altra, teste talmente compresse da spaccarsi il cranio… il genere d’abbraccio che si dà per fare roccia contro il ciclone, per fare pietra prima di saltare nel vuoto. Simon e Juliette al primo incontro durante un acquazzone, l’impermeabile di lei sulla testa, stanno sotto la tela come sotto un riparo in cui tutto risuona… come sotto la superficie del mondo… stanno lì sotto una vetrata che ricrea il giorno terrestre e si baciano all’infinito (Riparare i viventi). Né dialoghi, né dichiarazioni neppure tra Katherine e Diderot (Nascita di un Ponte) in quell’attrazione fugace, rigagnolo tanto segreto quanto imprevedibile cedimento dei sensi. Lei, nascosta tra la calca in una sera di brindisi a fine anno sul piazzale del cantiere, si tiene per il momento a una discreta distanza da Diderot che ne spia i movimenti con brevi occhiate di sbieco – si aspettano. Diderot distingue la chioma di Kathrine che si muove verso le baracche degli operai, si dice che se ne sta andando e perderà l’occasione… e Katherine che l’aveva intravisto… ha rallentato d’istinto il passo per poterlo incrociare – coreografia della collisione vecchia come il cucco ma sempre magica. Attrazione come fatalità anche quella di Eddy per Suzanne. Finalmente la vede, più precisamente se la becca come un pugno in faccia – e non la vedeva così, non aveva visto niente, la pensava più ragazzina, più delicata… e invece quella emana un senso di forza da paura: in costume due pezzi rosso… è solida ma sciolta… lui incontra il suo sguardo e subito tutto traballa, non avrebbe mai potuto credere e nemmeno immaginare che un giorno sarebbe stato dentro quel fiotto dolce e violento… Eddy ha capito la ragazza: sono uguali, lingue di pietra uscite dalla roccia (Corniche Kennedy). Questo è l’amore per Maylis de Kerangal: metamorfosi di sentimenti in materia pesante. Corpi sotto la superficie del mondo, corpi che collidono, corpi come lingue di pietra.

La forma epica di ogni romanzo è nel linguaggio ampio, che contiene i rivoli di altre storie che si compongono livello su livello. È la ricerca dettagliata, precisa di vocaboli, infinite variazioni sul tema che non dimentica i suoni: bang è un pugno nella pancia, plash è qualcosa che cade, wooow è l’urlo che precede un tuffo, bam è un’esplosione, ploc ploc il fondo di un caffè in un bicchiere di carta. Onomatopee che suonano la carica tra termini da intenditori –roba da nicchia specialistica – e linguaggio giovanile. Una parlata colta eppure ad orecchio, immediata, Saremo king!

L’ultima sorpresa di Maylis de Kerangal è Un mondo a portata di mano. Ancora giovani protagonisti come se come se per la scrittrice fosse quello il posto giusto per la precarietà, per la ricerca di un sé adulto. Paula, occhi vaiati e strabismo divergente, ha imparato a copiare la realtà alla scuola di trompe-l’oeil di Bruxelles. Anche qui finzione e materia come in passato, ma in contesto – quello dei copisti – ancora più esplicito. Per riprodurre un marmo bisogna conoscerne la storia, i segreti, toccarlo, valutarne peso, consistenza, venature. Immaginare il lavoro del tempo. Un mondo a portata di mano è un romanzo di formazione. Racconta la crescita di Paula, l’insicurezza e gli amori, la vita precaria fino alla ricreazione della grotta di Lascaux: l’uscita dall’adolescenza. Ma è anche un manifesto poetico: la realtà può corrompersi, la sua copia restare. Servire. Come le monumentali scenografie esterne di Cinecittà. C’è ancora vita possibile in quei luoghi fedelmente riprodotti, fedelmente reali. Riutilizzabili, in attesa di una massa di comparse, cavalli, carretti giocolieri e sputafuoco. Nella piazza si potrebbe combattere una guerra. Così Paula si è precipita verso la chiesa … si è fermata davanti al portale ornato di chiodi di ferro martellati, man mano che si avvicinava si sbiadiva l’impressione del rilievo: la pittura rivendicava i suoi diritti – Paula ha bussato alla porta che le ha rimandato un suono vuoto, un toc, e la si è vista sorridere.

Un mondo a portata di mano conferma la sostanza tattile, materica del linguaggio. Le frasi sempre lunghe, compatte di aggettivi, di verbi, di cambio di soggetto – sintassi alternativa, la sua. Il punto di vista dell’autrice coglie l’intero spettro dei cambiamenti, delle interferenze: le sfumature dell’esistenza. L’inaspettato è semmai in una sorta di spudorata dichiarazione letteraria. La scrittura è come un trompe-l’oeil – mi pare – strumento volatile che dà spessore all’invenzione, la trasforma in mondo da visitare. Anche solo per questo merita una precisione di dettaglio, di aggettivi come pennellate, e la cura della punteggiatura come cesura di spazi fisici. Dunque anche la scrittura è l’arte del falso, e Paula è l’interfaccia di Maylis..

Il lessico ha una bellezza fatta di esperienza e conoscenza. Ma la di là della loro natura poetica, le parole forniscono la precisione di cui ha bisogno un testo per resistere alla massificazione dell’immaginario, alla standardizzazione del linguaggio che altro non è che espressione di disattenzione. Descrivere un colore significa aprirsi al mondo di quel colore, conoscerlo, significa affermare che l’immaginazione è una facoltà di conoscenza e di iniziazione al mondo. Inoltre, utilizzare vocaboli dimenticati, lessici disamorati, glossari proletari, quell’area della lingua cui è negata ogni dignità letteraria, significa scegliere una semantica che coinvolge la memoria e mondi abbandonati e ormai mancanti (“I Miei personaggi rotti che cercano se stessi.” Intervista a Maylis de Kerangal di Alessandro Martini e Maurizio Francesconi in Corriere.it).

Maylis de Kerangal, Nascita di un ponte, Feltrinelli 2013
Maylis de Kerangal, Riparare i viventi, Feltrinelli 2015
Maylis de Kerangal, Corniche Kennedy, Feltrinelli 2018
Maylis de Kerangal, Un mondo a portata di mano, Feltrinelli 2020