Silvia Gribaudi: il corpo comico

Silvia Gribaudi: il corpo comico

@Cristina Dalla Corte, 21-10-2021

Dopo essere stata consacrata in Italia e all’estero come una delle coreografe più interessanti del panorama europeo, Silvia Gribaudi torna nella sua città natale, Torino, per il debutto di Mon Jour.
A Milano la sera successiva, al Teatro Elfo Puccini riceve il Premio Hystrio con la seguente motivazione: A Silvia Gribaudi va il Premio Hystrio Corpo a Corpo , per aver forgiato un linguaggio coreografico unico e originale, capace di rivoluzionare negli anni non solo la scena della danza contemporanea italiana e internazionale, ma anche lo sguardo della critica e del pubblico più tradizionale, svelando per prima la meravigliosa imperfezione di un corpo libero in scena, allenato ad infrangere con coraggio, sapienza e acuta ironia ogni barriera fisica e psicologica, ogni canone estetico e accademico.

2014 Silvia Gribaudi ph Alice Pozzoli

Il percorso di Gribaudi inizia nel 2004- 2009 con il lavoro autobiografico: A corpo libero realizzato in luoghi urbani, tra la gente. Un viaggio controcorrente dove l’artista destruttura l’immagine estetica del corpo per trasformarlo in accettazione, condivisione, gioco, comunicazione. La sua ricerca continua con uno sguardo al corpo che invecchia, con What age are you acting del 2014, con i progetti coreografici di comunità Over 60 e Oggi è il mio giorno, restituendo un commovente significato al corpo invisibile. Nel mese di settembre, con la regia di Andrea Zanoli, ha debuttato il film Overtour che racconta l’esperienza artistica dei laboratori, un viaggio alla scoperta di un corpo in continua e incontrollabile trasformazione.
Con R.osa, dieci esercizi per nuovi virtuosismi, del 2017 interpretato dalla iconica Claudia Marsicano, Gribaudi mette al centro il corpo femminile e il ruolo sociale che questo occupa, il corpo “boteriano”, la gioia esplosiva, un linguaggio coreografico dove la comicità e la relazione con il pubblico dominano la scena. Si ispira alle immagini di Botero, al mondo degli anni ’80 di Jane Fonda, al concetto di successo e prestazione. Un one woman show che con ironia dissacrante mette in atto una rivoluzione del corpo che si ribella alla gravità e mostra la propria leggerezza.
Arriviamo a Graces nel 2019, ispirato alle Tre Grazie del Canova, dove con Siro Guglielmi, Matteo Marchesi, Andrea Rampazzo e la stessa Gribaudi, si indaga il concetto di bellezza; gli artisti con ironica insolenza destrutturano minuziosamente gli standard di bellezza.

Graces

Infine arriva Mon Jour, con Salvatore Cappello, Nicola Simone Cisternino, Riccardo Guratti, Fabio Magnani, Timotheìe-Aïna Meiffren, il fumetto di Francesca Ghermandi, la drammaturgia di Matteo Maffesanti e le musiche di Nicola Ratti.

Il pubblico viene accolto da una voce fuori campo calma, rasserenante che flautando invita: “Take your time” , a respirare, in tutte le lingue, a svolgere perfino qualche esercizio di stretching. “Yesss, estendere braccia e gambe, cullati dal respiro”. Il mantra “It’s for you – take your time” accompagna tutto lo spettacolo, in un alternarsi di sketch dei cinque performer in scena, passando da un ritmo alto, giocoso, trasgressivo, ad un tempo tranquillo e silenzioso di riflessione. Una montagna russa energetica in cui lo spettatore partecipa attivamente, vive lo spaesamento dei corpi nudi e vulnerabili, scoprendo le altrui e le proprie fragilità, in un’identificazione crescente. Una mascolinità nuova, divertente e che racconta il proprio corpo senza ostentazione, senza appartenenza ad alcun cliché-macho, gioca con gli stereotipi di genere, lasciando il tempo ad ognuno di trovare un proprio linguaggio, una propria comunicazione, la propria poetica. Il fumetto, sarcastico e immaginario, come Jacovitti, si inserisce in scena con altri fantomatici personaggi, supereroi improbabili che scandiscono il percorso drammaturgico dello spettacolo.

L’intervista a Silvia Gribaudi

Soddisfatta di questo debutto?
Sì molto; è un nuovo inizio, per vent’anni ho lavorato molto sul mio corpo e sul femminile, anche in “Graces” sono in scena, in mutande e reggiseno, invece in questa produzione, mettermi camicia e pantalone, essere in ascolto e trasmettere diverse possibilità di un maschile, di quello che è essere performer, è una nuova opportunità. Sentivo la necessità di trovare altri punti di forza, che potrò sviluppare nel tempo e nei prossimi anni, darmi la possibilità di esplorare nuovi modi e scoprire nuove ritmiche.

Parlami di questa voce di Silvia che guida-accompagna la performance, fuori campo, flautata, suadente, sussurrata.
Innanzitutto è un gioco ed è la posizione che oggi, in senso letterale perché potrebbe modificarsi nelle repliche, ho trovato per stare dentro questo gruppo. È nata in questi ultimi due giorni di prova, mentre prima ero ancora in scena con loro e il giorno prima del debutto ho deciso, insieme a Matteo Maffesanti con cui lavoro, con cui esploriamo fino all’ultimo la giusta combinazione rispetto a quello che abbiamo bisogno di creare con il pubblico. Abbiamo sperimentato che il mio stare fuori ci permette di indagare la relazione tra chi guida e chi interpreta, chi entra come pubblico e in qualche modo viene guidato.
Per me è lo specchio di una società dove in qualche modo siamo spesso manipolati senza averne coscienza. C’è uno smontare e rimontare rispetto a Graces, ma indagando anche il ruolo di chi crea, comunque io gioco il mio ruolo, perciò voglio essere visibile in qualche modo perché non diventi una manovra subdola, ma sia esplicita, che il pubblico sappia che la voce ha un corpo, che è la regista, che ha deciso che si creasse una certa situazione è poter prenderci il nostro tempo, anche se è un altro a decidere. Lo faccio spesso con il pubblico, state vedendo qualcosa di spettacolare, perché ogni scena è un numero e nella vita è uguale, ogni cosa che ci accade è grande, ma ci prendiamo veramente il tempo di vivere quella cosa che sta accadendo??

Perché le residenze montane, da cui è nato Mon Jour?
Tutta la futura relazione con il pubblico nasce attraverso le residenze montane, perché scopri la bellezza e anche la forza di stare nelle piccole comunità, cioè una comunità che all’inizio non ha fiducia, ma quando crei una relazione, ti regala l’anima e nasce un tempo in cui le persone si mettono a disposizione. Per molti rimarrai per sempre “diverso”, quello “strano”; nello stesso tempo si crea la piacevolezza di vedere questa diversità. Nel 2019 abbiamo ideato una restituzione a Prali che è diventata una festa di piazza con tutto il paese che collaborava: è stato il cuore della residenza che ho cercato di portare in scena, il clown che mi diverte mi intrattiene e mi lascia qualcosa di profondo.


Lì nasce il secondo concept Il silenzio della comicità; quando eravamo in montagna a sperimentare, qualsiasi cosa sembrava inadeguata, perché c’è una bellezza e una natura così potente che ti mette subito in contatto con ciò che è necessario. Così abbiamo trasferito anche nella performance momenti si grande pienezza e momenti di vuoto. Credo che l’aspetto comico creato dal vuoto funzioni molto perché prima c’è stato molto. È come quando scappi in montagna a camminare, arrivi pieno di impulsi e informazioni, ma poi si svuota tutto. Mi chiedo come possiamo nella vita quotidiana passare da continui stimoli crescenti alla calma, così in scena credo sia importante ridere e stare in una ritmica energetica alta senza uscire dal proprio corpo, andare “over” dove l’entusiasmo diventa troppo. Mi piace continuare ad indagare come tornare a noi senza perderci completamente in quello che vedo e che sento dall’altro, ma cercando di rimanere nel nostro respiro e nel nostro timing. È per me un inizio, è la prima volta che realizzo queste sensazioni che ho chiare dentro di me, come vent’anni fa nel 2009 con Corpo Libero che nel tempo si è trasformato in tante cose diverse, da R.osa a Graces; Over 60, adesso è per me un nuovo nucleo. Forse legato alla vecchiaia, stare in una trasformazione del corpo e della vita, però con un’energia alta, oppure respirare pur andando a mille e trovare questa possibilità di respiro nelle emozioni.

Nella parte energetica dei tuoi spettacoli si attraversano sempre gli anni ’80: musiche, canzoni, boy band, the best of ’80… C’è qualcosa che ti lega e che esprimi con gioia e gioco, non solo divertimento, ma giocosità?
Sì, mi ci ritrovo. In una dimensione seria del gioco, come avviene con i bambini.
Quando ho iniziato a lavorare con questo gruppo di cinque maschi, da questo mix di esseri maschili differenti, mi piace ironizzare con ciò che ci si aspetta dagli uomini, la boy band, anti-ironia al maschile, che questi performer con grande umiltà e semplicità rappresentano benissimo. Per i giovani c’è un altro modo di stare nel maschile, tante sfumature sottili che ci permettono di sorridere di quel concetto di uomo che ci ha dato fastidio, quella mascolinità esposta.
Poi c’è il gioco di una boy band improbabile, dove ciascun performer possiede una propria ironia, quindi il grande lavoro è quello di far continuamente emergere sempre di più, il gioco comico che in ogni persona è sempre diverso. L’ironia del corpo, la presenza, il clown interno è diverso per ogni persona, per cui ogni performer trova un proprio modo per stare nel tempo del clown che è un tempo del silenzio, dello sguardo, della relazione e lì nasce la danza! Chi come Nicola gioca sullo sfondo con un virtuosismo fisico dentro ai disegni, chi invece come Tim sta nel vuoto senza nulla, chi vola perché è alto e si può permettere di toccare il cielo, chi danza nelle proprie forme in un’ampiezza che potrebbe apparire pesante, chi sta fermo e canta un improbabile karaoke, questo clown e non-clown con tanti nasi rossi ti porta ad immaginare molto altro.
La crescita continua è data dallo stare insieme e conoscerci per poter amplificare la bellezza che ogni performer porta in scena, ognuno ha dentro un clown che non per forza fa ridere.

La relazione intima che si crea subito tra performer e pubblico, un’esposizione semplice, nuda, giocosa, ma mai carnale, in cui il pubblico può specchiarsi e ritrovarsi, avviene molto rapidamente.
Risuona questa sensazione, perché nei laboratori che svolgiamo durante i processi creativi in montagna, ci rimandano una sorta di necessità di iniziare subito a danzare e tutti ci dicono: “In un secondo mi sono messo a giocare”. Lo sperimentavamo in tutte le residenze dove i cittadini arrivavano alla sera per fare il laboratorio, alcune volte partivo dal parcheggio con loro e da lì iniziava il lavoro che poi migrava nella sala. Questo era destrutturare una dinamica che prevedeva: arrivare, cambiarsi, fare il cerchio, anche solo smontare delle micro-abitudini permette di rinnovare un’energia interna e vitale, ed è la necessità che sento anche per me con un nuovo modo di stare in scena, altrimenti rischi di appoggiarti sui soliti orizzonti. Ciò che emerge è questa sensazione di gioia, anche per chi fa il laboratorio, cambia la disposizione dell’animo, al di là dell’estetico, in quel momento nasce la decisione del pubblico “take your time”, in quel momento puoi decidere come stare, se too much o to slow, va bene tutto ed è tutto possibile.
Penso che la comicità abbia ancora bisogno di lottare per esistere.

Mi parli di questa bellissima idea del fumetto?
Francesca Ghermandi è un’artista italiana; lavora molto per L’Internazionale, ci siamo conosciute un paio di anni fa ed è da tempo che mi piace collaborare con tutte le forme di umorismo, studiare come passi in forme differenti; mi confronto sempre con altri coreografi come Andrea Costanzo Martini, con cui dialoghiamo sulla ritmica della comicità. Con il fumetto potevo delegare una narrazione, una drammaturgia, volendo essere meno presente in scena, mi sembrava un modo coerente di continuare a dialogare con il pubblico. Francesca possiede un tratto umoristico, ma molto profondo; ci sono questi semi-mostri, questa strana umanità che unisce bene la bellezza della trasgressione, un’ombra rock e talvolta dark, per poter valorizzare ancora di più, il ‘dietro le quinte’ della comicità, cosa c’è dietro un clown.
Abbiamo scartato tantissimo materiale e poi abbiamo cercato ciò che si sposava meglio con i corpi in scena. All’inizio ho lavorato solo con i ragazzi nella prima residenza in montagna, poi ho inviato il materiale video a Francesca, lasciando la possibilità all’artista di non essere al servizio del coreografo ma di creare liberamente, in funzione dell’ispirazione nata dai corpi. Nell’ultima parte del lavoro abbiamo iniziato a fare un collage, quindi un montaggio rispetto alla drammaturgia dello spettacolo.


La stessa cosa è avvenuta con Nicola Ratti compositore contemporaneo che ha seguito la creazione musicale, dopo uno scambio lui ha costruito la partitura e poi abbiamo capito come si mescolavano tutti questi mondi insieme. Le musiche di Nicola portano in scena un altro contrasto, insieme ai brani classici di Rossini, creando atmosfere differenti dentro ad un sorriso, sempre un respiro dentro la comicità.
I disegni sono anche una provocazione di colore: dopo Graces – dove era tutto bianco, marmoreo, il Canova -, avevo bisogno di colore proprio per permettermi di cambiare registro, passare alla Pop Art. In effetti i personaggi disegnati da Francesca sembrano dei supereroi, chi vola, chi si trasforma, in conclusione il carosello orizzontale è stato creato per primo ed è risultato il cuore del lavoro. Partendo da questo centro, tutto il resto si è sviluppato nelle periferie. Anche il carosello verticale è stato una piacevole scoperta, ed è rimasto dalla prima residenza montana, come un volo, un viaggio verso l’alto del cigno.

Dopo la replica di Mon Jour a Milano – che è stata un successo -, dove sei diretta?
Riprenderemo le repliche a Bruxelles a novembre; ora sono in partenza per Palermo dove porto il Progetto Over 60: organizzo dei laboratori ogni sera; poi è prevista una conferenza sulle trasformazioni del corpo nell’età matura, infine la performance A Corpo libero nelle piazze. Il 15 sarò in Veneto con Memorie di intime rivoluzioni, un grande progetto che ruota intorno alla Morte del cigno e che prevede diversi partner.

Prima di salutarti e di augurarti lunga vita, pensavo di intitolare questo ‘speciale’ Il Corpo Comico: cosa ne pensi?
Mi piace molto, il Corpo comico è un corpo politico. Dietro la comicità c’è sempre la critica costruttiva di un sistema ed è il mio modo di comunicare cosa sento, è il mio modo di raccontare una società.

Silvia Gribaudi celebra il riscatto e la gioia di danzare, ciascuno con la propria forma fisica, con la propria età, sempre e comunque.
Da educatrice del corpo, non posso che consigliare a tutti, giovani insicuri, adulti confusi, anziani persi, a tutti coloro che affrontano il cambiamento e la trasformazione, insita nella nostra vita, almeno una dose quotidiana di Gribaudi, prima o dopo i pasti, senza alcuna controindicazione e senza ricetta, per concederci il lusso di essere pienamente consapevoli della nostra bellezza, in questo mondo oscuro.

A corpo libero

 

MON JOUR di Silvia Gribaudi

Festival Torinodanza 8 ottobre 2021
Prima assoluta

con i disegni di Francesca Ghermandi

con Salvatore Cappello,
Nicola Simone Cisternino,
Silvia Gribaudi,
Riccardo Guratti,
Fabio Magnani
e Timothée-Aïna Meiffren

consulenza drammaturgica Matteo Maffesanti

disegni animati Francesca Ghermandi

materiale artistico creato da
Silvia Gribaudi,
Salvatore Cappello,
Nicola Simone Cisternino,
Riccardo Guratti,
Fabio Magnani
e Timothée-Aïna Meiffren

disegno luci Leonardo Benetollo

direzione tecnica Leonardo Benetollo

musiche Nicola Ratti, Gioachino Rossini