Un cuore di tenebra. Esce per Einaudi ‘Il Quartetto Razumovsky’, romanzo postumo di Paolo Maurensig
@ Lucia Tempestini, 01-02-2022
– Prendete i vostri strumenti, – disse, come se fosse una questione di vita o di morte.
Se quello degli scacchi è il più crudele dei giochi – cui Maurensig ha dedicato la quasi totalità della sua opera – è la musica, questa volta come nel lontano capolavoro Canone inverso, a riportare alla luce quel connubio di matematica e passione, elegia e odio, smarrimento e aridità interiore, antagonismo sensuale e alterigia, guasta coazione a ripetere e tensione demoniaca di ascendenza manniana che caratterizzano le trame e la prosa, a un tempo metodica e ricca di suggestioni mitteleuropee (Roth, Zweig), dello scrittore goriziano, in grado di tessere immagini piene di riverberi impressionisti: il corpo invecchiato di Victoria, reso inerme dalla malattia, mentre una losanga di luce lo illumina; l’ombra tremula del giovane pioppo che si muove su una parete dello studio della dottoressa Weber, psichiatra junghiana sopravvissuta a Bergen-Belsen, sul cui viso si stende un reticolo di finissime rughe.
L’Io narrante Rudolf Vogel, dopo aver anglicizzato il cognome in Fowl, è fuggito dall’Europa alla fine della seconda guerra mondiale per rifugiarsi nel nord degli Stati Uniti, laddove si sono insediate intere comunità di tedeschi benpensanti in casette linde e conformiste, con fazzoletti di giardino delimitati da staccionate basse dipinte di bianco che proteggono sinistri gnomi da giardino. Il perbenismo biedermeier degli adepti piccolo borghesi del Terzo Reich ha messo nuove radici in un’altra terra, mimetizzandosi e dando origine a metastasi ideologiche in grado di innestarsi nella predisposizione americana al totalitarismo strisciante.
All’inizio Vogel si guadagna da vivere scrivendo romanzetti d’avventura poi, in seguito alla conseguenze neurologiche di un incidente d’auto che non gli consentono più di organizzare trame plausibili, diventa docente di Letteratura in un istituto del Montana (nella città di Hamburg, non casualmente). Lì ritrova Benedict – ora insegnante di Musica antica –, uno dei solisti del Quartetto d’archi che tanti anni prima aveva stupito tutta la Germania per il virtuosismo ascetico dei giovani membri.
Fowl è in realtà l’anagramma di Wolf, lupo, e tale si può considerare Rudolf, un cuore di tenebra e gelo mai toccato dal pentimento e dalla pietà. Innamorato del violinista Max Brentano, arriva a denunciare alla polizia segreta Victoria, violoncellista del gruppo, per separarla per sempre da Max. Disgregatosi il quartetto, Rudolf rinuncerà alla musica per diventare un torturatore al servizio del regime nazista. E se Vogel rappresenta l’inferno del male assoluto, il biondo Benedict dalla scriminatura alta incarna le forme banali e servili che può assumere la dedizione a una causa abietta. Il rituale ossessivo con cui ripone la viola, decorata da una grottesca scolpita al posto del ricciolo, rappresenta l’ordine opaco e paranoico che è la radice di qualsiasi occhiuta tirannia, ed è un passaggio che si incide indelebile nella memoria del lettore. Così come l’atonia meccanica dei delitti successivi di Rudolf, in una discesa perversa che si conclude durante gli anni di segregazione in un carcere, quando si disfa del violino, l’ormai inutile strumento di un possibile riscatto attraverso la musica. Se neppure l’oggetto creato da un liutaio di scuola francese di fine Ottocento riesce a emendare dalla crudeltà, che utilità può avere l’arte? A che serve, si chiede Maurensig lasciando l’interrogativo sospeso nel vuoto, una composizione sublime come il Terzo movimento (adagio molto e mesto) del Quartetto Razumovsky di Beethoven, in cui il passo sommesso, crepuscolare si alza in tono cantabile – una danza russa trasognata – che diventa contemplazione, per poi turbinare in un finale dove i due violini si accendono entro un dialogo veloce che è attrazione e rivalità, rincorsa e impatto.