Piazza degli eroi, il testamento politico di Thomas Bernhard allestito per la prima volta in Italia
@Amelia Natalia Bulboaca, 26-11-2021
porti in scena una buona volta tutta la sua spietatezza
tutto il suo schifo per il mondo
non soltanto la metà del suo schifo per il mondo
ma tutto il suo schifo per il mondo Bernhard
scriva un pezzo di teatro universale
che squarci il Burgtheater
che faccia tremare l’intera città di Vienna
– così Claus Peymann, il regista preferito di Bernhard, in uno dei “dramoletti” che lo vedono come personaggio teatrale assieme allo stesso autore: Claus Peymann si compra un paio di pantaloni e viene a mangiare con me[1]. E Bernhard scriverà davvero un pezzo di teatro universale che avrebbe fatto tremare l’intera città di Vienna: la prima di Heldenplatz (il 4 novembre 1988, Burgtheater Wien) fu un autentico scandalo: fischi e striscioni fuori dal teatro che contestavano l’antipatriottismo dell’autore. Thomas Bernhard sarebbe morto da lì a pochi mesi, il 12 febbraio 1989.
Personaggio scomodo Bernhard, di una spietatezza intellettuale che ovviamente infastidisce molto la cloaca stantia che era diventata l’Austria, suo paese natale. D’altronde, parlare di patriottismo – concetto già di per sé superato – nel caso di Bernhard sarebbe del tutto assurdo poiché anche la nozione stessa di paese natale, qualcosa che appunto, si darebbe per scontato, pone dei problemi insormontabili:
«Esiste per lei il concetto di terra natia (Heimat)?
Non mi riguarda. Certo, posso immaginare dove vivessero i miei antenati, ma io non sono lì. Qui ci sono arrivato già da intruso.»[2]
E chi meglio di un intruso (stiamo parlando di una condizione spirituale, naturalmente) potrebbe guardare con occhio lucido e disincantato, da dentro e da fuori contemporaneamente, ciò che sta accadendo anche sotto gli occhi di tutti, ormai in piena luce, ciò che non si prova più a nascondere, salvo non avere poi il coraggio di chiamare le cose con il proprio nome: il diktat del politically correct è cosa recente e si è allargato a tutti gli scomparti della vita sociale che ne è ormai totalmente fagocitata. Bernhard aveva visto bene: i rigurgiti sovranisti che riguardano il nostro presente arrivano da lontano. In Piazza degli eroi, il testo più politico di Bernhard, si denuncia il permanere in Austria di strutture autoritarie e fasciste che hanno portato al potere sin dal dopoguerra una classe politica che non ha mai tagliato con il proprio passato nazista anche se questa truce verità, viene costantemente negata e vigliaccamente rimossa. «Ma tutto vive di falsificazioni, tutto»[3], dunque non c’è da stupirsi più di tanto.
Il carattere intrinsecamente nazifascista della realtà austriaca era stato denunciato da Bernhard anche negli altri lavori teatrali e ovviamente anche nei romanzi. L’ottusità che conquista terreno e avanza inesorabilmente è d’altronde uno dei topoi della sua scrittura. Heldenplatz li riassume tutti e ne costituisce per così dire la summa anche per il valore fortemente simbolico e testamentario, come abbiamo già sottolineato: nel suo vero testamento, Bernhard, ferocemente coerente fino alla fine, vieta per sempre la pubblicazione e la rappresentazione dei propri scritti in Austria.
Fortemente significativa dunque la messa in scena per la prima volta in Italia di questo capolavoro dell’arte drammaturgica del Novecento. Roberto Andò colma finalmente un vuoto che gridava da tempo di essere riempito e lo fa avvalendosi di uno strepitoso cast di attori, tra i quali il maestro Renato Carpentieri (Robert Schuster) e la grandissima Imma Villa (Signora Zittel).
La piazza che dà nome al testo è la stesa in cui nel 1938 Hitler annunciò alla folla delirante l’Anschluss, l’annessione dell’Austria alla Germania nazista. L’impianto drammaturgico dell’opera è costruito attorno a queste urla della folla inneggiante che la vedova del professor Schuster, morto suicida gettandosi dalla finestra, continua a sentire a distanza di cinquant’anni.
«La piazza e le voci inneggianti che si levano a disturbare la mente sconvolta della vedova del suicida, sono la piazza e le voci che ovunque nell’Europa smarrita di oggi invocano l’uomo forte, “un regista che li sprofondi definitivamente nel baratro”, come dice lo zio Robert, il fratello del suicida, parafrasando lo stesso Bernhard» – cosi andò.
Per quanto riguarda la messa in scena è manifesta la volontà di rispettare la sobrietà e la fedeltà al testo. Bastano questi aspetti – per nulla scontati soprattutto nel contesto del teatro italiano contemporaneo che sprofonda sempre di più in un non meglio definito buco nero di “sperimentazioni”, “riscritture”, “reinterpretazioni” che spesso (spesso, non sempre: per fortuna!) riflettono solo lo sterile narcisismo di chi le ha concepite – per fare di questo spettacolo il vincitore ideale del Premio Ubu 2021 dove attualmente è finalista alla sezione spettacolo dell’anno, anche se dubitiamo che si aggiudicherà questo riconoscimento ufficiale. Questione di gusti (l’assoluto cattivo gusto denunciato da Bernhard non è solo roba viennese) e di mode, naturalmente. Per chi fosse interessato, le premiazioni avverranno il 13 dicembre al Cocoricò di Riccione ma per me Piazza degli eroi è già e senza ombra di dubbio, lo spettacolo dell’anno.
Piazza degli Eroi
di Thomas Bernhard
traduzione Roberto Menin
regia Roberto Andò
scene e luci Gianni Carluccio
costumi Daniela Cernigliaro
suono Hubert Westkemper
visto al Piccolo Teatro Strehler di Milano
[1] Thomas Bernhard, Teatro VI, Einaudi, Torino 2021.
[2] T. Bernhard, Peter Hamm, Una conversazione notturna, Portatori d’acqua, Pesaro 2020, p. 21.
[3] T. Bernhard, Un incontro, SE, Milano 2003, p.82.