Un delitto d’onore sui legni del Piccolo Teatro della Città – Catania
@ Anna Di Mauro, 23-11-2021
La scena si apre su un filo di musica eseguita al sax in fondo al palco. Al centro, sotto un tiro incrociato di luci, con un vestituccio dimesso sopra una tuta maschile, una figura seduta, anzi accartocciata su se stessa, a testa bassa, come in tutta la sua vita; con toni sommessi, quasi sussurrati, come in tutta la sua vita, intrecciando e modulando contenuti drammatici fino ad essere umoristici, si racconta, in uno stretto dialetto calabro-lucano. È “Dissonorata”, una storia al femminile, un monologo emblematico che esplora con delicatezza e determinazione la condizione subalterna negli anni ’70 del Sud Italia e della donna in particolare, tanto da farci balenare dinnanzi la donna musulmana dei paesi islamici. Lo spettacolo è stato scelto per aprire il dovizioso cartellone del Piccolo Teatro della Città. A interpretarlo è l’attore Saverio La Ruina, un maschio, nelle intenzioni della sua regia divenuto simbolicamente da carnefice a portavoce. L’artista, pluripremiato per questa intensa denuncia, una sorta di confessione, di cui è anche autore, premio Ubu 2007 per “Miglior testo italiano” e “Miglior attore italiano”, formatosi a Bologna da quelli che considera i suoi maestri, l’attore di Kieslowski nonché regista, Jerzy Stuhr, e il regista lituano Eimuntas Nekrosius, è certamente una delle personalità emergenti del teatro contemporaneo. Lo dimostra questo suo intenso “Dissonorata. Un delitto d’onore in Calabria”, del 2007.
Calabria, anni ‘70. A parlare in una sorta di flusso sonoro (un fiume di parole, parole mai dette) è Pascalina, una pastorella (molto lontana dalla malizia giocosa delle pastorelle dei madrigali di Marenzio), brava a pascolare pecore, agnelli, vacche. Unicamente questo le ha insegnato il padre-padrone, ma anche a tenere gli occhi sempre bassi, a ubbidire ciecamente. Questo devono fare le femmine delle campagne del Sud Italia, sgradite alla nascita, tollerate fino all’auspicato matrimonio, unica forma di inserimento sociale. Anche Pascalina si vuole sposare, ma deve aspettare il suo turno. Prima devono sposare le sorelle più grandi. Non le resta che sognare l’amore. Freme, desiderosa e attanagliata dalla paura di non poter più andare sposa; così finirà per illudersi e cedere alle voglie di un uomo mendace che la abbandonerà, incinta e “dissonorata”. Per riscattare l’onore perduto della famiglia, condizione indispensabile alla sopravvivenza nel villaggio delle “zitellone”, come viene chiamato il paesino dove vivono, il fratello Antonio la trasformerà in una torcia umana cospargendola di kerosene e dandole fuoco.
Pascalina guarirà e saprà risollevarsi dal suo orribile destino; diverrà madre e sorriderà alla vita, pur rimanendo per sempre sfigurata, con il mento saldato sul petto a seguito dell’ignea e sommaria giustizia della famiglia.
Quello che colpisce favorevolmente nello spettacolo è l’assenza di toni esacerbati, a fronte di tanta efferatezza, il che rende ancora più efficace e incisivo il messaggio. Sobrietà e pudore sono i canoni estetici ed etici a cui l’aut-attore si è ispirato, conferendo a questo atto di violenza femminicida un taglio poetico dagli effetti toccanti. Come non provare solidarietà nei confronti della vittima inerme e contemporaneamente una accesa indignazione nei confronti di chiunque si erga a giustiziere di una donna, in nome del decantato “onore”?
“Dissonorata” è un racconto tremendo, nutrito da una sottile tenerezza. Davanti all’ingenuità e alla semplicità della giovane, inesperta preda, a fronte del suo seduttore, avvertiamo il morso della commozione mescolarsi al raccapriccio per l’orrore di cui Pascalina è stata vittima. Le emozioni in sala nascono e si sviluppano in un crescendo inarrestabile davanti al soggiogante parlottio, affiancato dall’esecuzione avvolgente di musiche dal vivo del musicista Gianfranco De Franco, reso protagonista dalla regia fino ad affidare il momento dello stupro alle note acute del suo strumento. I gesti misurati e femminei dell’attore accanto a episodi illuminanti della subalterna condizione femminile, il suo modo di parlare confidenziale, ci fanno sentire vicina la povera Pascalina, quasi familiare, estremamente vulnerabile, eppure forte nelle sue necessità recondite. La Ruina ha dimostrato di saper scavare nell’animo femminile e nella questione sociale con una intensa espressività che va oltre l’efficacia recitativa. Vi si intuisce un sincero desiderio di dare voce a chi voce non ha.
Nonostante la violenza sulle donne sia un tema abusato, questo pluripremiato monologo, il cui valore non è sfuggito al pubblico e agli esperti, riesce ad avere una freschezza e un taglio trasversale che impongono attenzione e rispetto verso una piaga sociale che sta assumendo proporzioni insostenibili, facendoci ripiombare in quell’insana atmosfera maschilista di cui si fregiano le culture più arretrate. L’arte del racconto qui ha assunto toni forastici, guadagnando alla storia le donne emarginate, ma anche il popolino ignorante e arretrato, al quale La Ruina schiude i battenti affinché possa essere ascoltato, capito, accolto, aiutato, amato.
Nonostante tutto, “Dissonorata” è una storia di amore per la vita.
DISSONORATA. Un delitto d’onore in Calabria
di e con Saverio La Ruina
Musiche eseguite dal vivo Gianfranco De Franco
Collaborazione alla regia Monica De Simone
Contributo alla drammaturgia Monica De Simone
Luci Dario De Luca
Organizzazione Settimio Pisano
Al Piccolo Teatro della Città- Catania