Virginia, Vita e il neomanierismo di ‘Orlando’

Virginia, Vita e il neomanierismo di ‘Orlando’

@ Lucia Tempestini (23-04-2021)

 

I have seen a little ball kept bubbling up and down on the spray of a fountain:

the fountain is you, the ball me.

It is a sensation I get only from you.

 

Virginia Woolf, Lettera a Vita Sackville-West, 1928

 

Vita Sackville-West

Fra un viaggio e l’altro, dalla Parigi delle fughe sentimentali alla Persia, Vita Sackville-West scriveva libri di successo e coltivava nel parco del castello di Sissinghurst, nel Kent, il glasto dai fiori gialli e la radice dell’iris, nonché siepi di tasso e prati di timo.

Prima di conoscere Virginia Woolf nel 1924, all’incrocio di due mondi, quello aristocratico e quello intellettuale, spesso caratterizzati dalla diffidenza reciproca, Vita era entrata con impeto selvaggio, patrizio nell’esistenza di due donne: Rosamund Grosvenor e Violet Trefusis, la Sasha di Orlando (autrice del perfido Broderie Anglaise, dove la storia d’amore fra Vita e Virginia volge in crudele parodia). Violet sa scuotere i sensi di Vita più di ogni altra; riempie di tuberose la sua stanza, indossando un vestito di velluto rosso, del colore di una rosa scarlatta, che faceva di lei, misto al bianco del volto e al fulvo dei capelli, l’essere più seducente.

Di Virginia, Sackville-West s’invaghisce all’istante. Si scrivono lettere fiammeggianti; per Vita, Woolf è somigliante a una volpe, a un olivo, per l’autrice di To the lighthouse Vita brilla nella bottega del droghiere di Sevenak radiosa come la fiamma di una candela […] un grappolo d’uva, una perla sospesa. Nel loro carteggio irrompe la densità verticale di una passione che aspira a rappresentarsi attraverso la ricerca della parola proteiforme, elaborata e trasparente a un tempo. La parola che permetta miracolosamente alla little ball di rimbalzare dall’una all’altra corrispondente, facendosi ascolto, divertimento, seduzione, traduzione reciproca del linguaggio e dell’animo, accudimento, epiteto ironico, smontaggio e ricostruzione in absentia dell’immagine amata.

Per catturare il mistero dell’ambiguità di Vita, per eternarne l’androginia, Woolf si concede una vacanza della mente e compone, potremmo dire in volo, lo strepitoso pastiche Orlando. In questa biografia romanzata il protagonista attraversa magicamente i secoli – dall’epoca elisabettiana al 1928, anno di pubblicazione del libro – cambiando sesso, in un’alternanza di avventure e lunghe letargie cagionate dalle ferite dell’anima, assimilabili per certi  versi al sonno di Rosaspina e ai sogni di Oblomov.

Virginia Woolf e Vita Sackville-West

Orlando però è molto di più. Se all’inizio può sembrare un gioco, un omaggio al sentimento che lega Virginia a Vita, un prezioso gioiello creato per il piacere di fissare per sempre il fascino di Vita – gli occhi come violette stillanti –, procedendo nella lettura ci accorgiamo di essere al centro di un vortice iperletterario le cui risonanze assumono una molteplicità di significati tale da incendiare la mente. Woolf è una finissima esegeta shakespeariana, quindi colloca la prima parte della vicenda in un’epoca elisabettiana dove la natura coincide con la cultura e le forme – oggetti, piante, ecc. – diventano rigogliosi simboli semantici solo in virtù del loro nome, come suggestiva proiezione fonetico-sensoriale dell’invisibile biografa onnisciente. Si tratta di un ispirato, consapevole neomanierismo che discende dalla féerie presente in tutte le opere di Shakespeare, in primo luogo A Midsummer Night’s Dream.

Tilda Swinton nella versione cinematografica di ‘Orlando’

La dimora di Orlando evoca il castello di Knole, dove Vita aveva trascorso l’infanzia, eppure ogni elemento realistico si dissolve in romance, o meglio in messa in scena teatrale – un’eco di questa affabulazione lo ritroviamo in Between the Acts, uscito postumo nel 1941. Persino il vento rimane imprigionato fra le mura ed è destinato a turbinare di stanza in stanza mentre il Tempo trascorre. Tutto si muove senza sosta spinto dal potere delle parole, diventa fluido, permettendo ai corpi, ai generi (anche letterari), ai luoghi, alle epoche, ai pensieri, di subire metamorfosi fiabesche o mitologiche, antiche e modernissime, di fondersi, di confluire e defluire, di colorarsi di sfumature nuove. Per mezzo della mimesi letteraria Virginia diventa Orlando, e s’impossessa, infine, anche di Vita.

Assimila persino l’attrazione che Vita prova per Violet, trasfondendola nell’amore di Orlando per Sasha. Il giovane che fino a poche pagine prima costruiva fantasticherie sul palcoscenico offerto da un esotismo di cartapesta rivestito di colori sgargianti, immaginando di ripetere le imprese eroiche degli avi e decapitare un ragionevole numero di Mori, cade vittima di un invasamento romantico.

Virginia, in stato di grazia e felice come mai prima le era capitato di sentirsi, riversa nella descrizione del Grande Gelo che colpì Londra nel 1608 un talento visionario senza pari, in cui vibrano all’unisono ironia sfrenata e malinconica conoscenza dell’animo umano.

Gli uccelli si cristallizzano in volo e cadono morti al suolo, una giovane contadina, colpita a un incrocio dal vento gelido, si polverizza e viene soffiata via, una vecchia col suo carro di mele può essere osservata sul fondo del Tamigi, ghiacciato fino alla profondità di 30 metri, le navi straniere rimangono imprigionate nelle acque del porto, diventate dure come l’acciaio.

Violet Trefusis

In questa cornice fantasmagorica viene organizzata sul fiume una festa di Corte, di sera, ed è lì, mentre una bolla nera di gelo preme intorno al chiarore diafano delle torce, delle lucerne e dei falò, che Orlando incontra Sasha, principessa moscovita dagli occhi che sembrano pescati nel fondo del mare (richiamo palese alla Tempesta di Shakespeare). Figura sottile dal sesso indefinibile, sfreccia davanti a Orlando pattinando con il vigore di un ragazzo. Nel momento in cui il protagonista si abbandona alla follia d’amore, la voce fuori campo della biografa prende a esercitarsi con eleganza intorno alle menzogne e ai tradimenti di Sasha, descrivendoci con tono sulfureo anche certe barbare usanze dei sudditi dello zar.

Durante l’apocalisse del disgelo la nave russa fuggirà verso il largo portando con sé la principessa infedele, inseguita dalle grida e dagli insulti di Orlando, cui resterà soltanto la vecchia pentola dispersa che l’infuriare della tempesta gli ha fatto volare fra i piedi.