L’amore è il solo modo di raggiungere l’assoluto, di sfuggire per un po’ alla morsa
dell’incompiutezza, dell’inadeguatezza. Alla prigione di se stessi.
Patricia Highsmith
Il ‘Vicolo cieco’ di Patricia Highsmith
@ Lucia Tempestini (04-05-2021)
Che Patricia Highsmith fosse schiva e tendesse ad abitare le zone d’ombra, quelle che gravano intorno ai fasci di luce dei lampioni, è risaputo. Meno nota la sua inclinazione al sottosuolo – luogo in cui si raduna tutto ciò che la coscienza rimuove -, a un susseguirsi o sovrapporsi di identità ed esperienze, attraverso la scrittura e la vita stessa, che la spingeva in territori pericolosi, prossimi al not I. Era posseduta da uno streben vorace e buio, un daemon così potente e pervasivo da consumarla di gin e Gitanes, da trascinarla nelle camere dall’odore di sesso femminile, in hotel newyorkesi tutti ugualmente squallidi dove si incontrava con le molte donne della sua vita, amate e disprezzate, inadeguate rispetto all’ideale inseguito, considerate stupide seccatrici e riprodotte nei personaggi femminili dei suoi romanzi. Le ritroviamo in Melinda, Effie, Nickie, Peggy e nella Clara di Blunderer – fredda, rapace e superficiale.
Il protagonista di Blunderer (Vicolo cieco, ed. La Nave di Teseo) è Walter Stackhouse, un giovane avvocato di buon carattere, idealista e, nonostante tutto, innamorato della moglie Clara. Anche Walter, come Tom Ripley e altri, è un alter ego dell’autrice, il compagno segreto la cui pena Highsmith sente risuonare nei bassifondi della mente.
Stackhouse possiede una sensibilità particolare che ne acuisce i sensi e l’intuito. Come capita al Signor Usher, i rumori esterni si trasformano in percosse dolorose e Walter può perdere la cognizione del tempo osservando la confusa linea rossa in cui l’asfalto bagnato, al crepuscolo, riflette l’insegna al neon di un drugstore, oppure ascoltando le voci delle anime perse nei diner aperti la notte.
Il punto di fuga dai continui sensi di colpa che Clara induce in Walter è rappresentato da un passatempo eccentrico: il giovane cerca sui giornali articoli riguardanti i comportamenti bizzarri o patologici o enigmatici delle persone. Ed è così che si imbatte nella notizia dell’omicidio di una donna, Helen Kimmel, uccisa a coltellate e strangolata durante una sosta dell’autobus sul quale stava viaggiando. Nessun indizio, il marito sembra avere un alibi. In realtà l’assassino è proprio Mr. Kimmel, titolare di una libreria polverosa a Newark, e Highsmith ci mostra il delitto all’inizio del romanzo, in tutta la sua brutalità e in soggettiva, ovvero con gli occhi dell’omicida.
Walter si convince subito della colpevolezza di Melchior Kimmel, così la forza di una strana affinità, più i sogni grotteschi originati dall’alcol, lo portano in contatto con l’uomo. Una montagna di carne dalle labbra obese, che Stackhouse va addirittura a trovare in libreria. Questo doppio sgraziato e criminale affascina l’avvocato perché ai suoi occhi rappresenta la realizzazione delle fantasie di rivalsa. Melchior ha messo in pratica ciò che Walter riesce solo a desiderare con crescente frustrazione: la morte della moglie. Per Clara prova attrazione, odio, e un’insopprimibile tenerezza. Non la odia abbastanza da ucciderla, quindi si limita a mettere in scena, per se stesso, le possibili occasioni di omicidio. Inoltre l’odio non basta – è solo uno degli elementi necessari per commettere azioni violente –, occorre anche un tipo particolare di follia, o di abbandono agli impulsi, che Walter non possiede.
Il lettore si ritrova nel punto esatto in cui vengono a crearsi delle figure d’interferenza, per il modo in cui l’autrice, la sua identità fantasmatica (Walter) e il riflesso oscuro di Walter (Melchior) agiscono l’uno sull’altro.
Clara è costretta a intraprendere un viaggio a Pittsburgh, per raggiungere la madre morente che non ha mai amato, e Walter, per quella che potremmo chiamare una necessità meccanica, segue la corriera in auto, lacerato fra l’istinto di soffocare Clara e l’angoscia di non riuscire a farlo. L’alterazione emotiva si traduce in azioni febbrili, goffe, persino ridicole, che lo espongono agli sguardi incuriositi di chi lo vede aggirarsi intorno all’autobus ed entrare e uscire più volte dall’Harry’s Rainbow Grill, un approdo nella notte, un faro dalle violente luci rosse e viola appollaiato sulle colline. Entra ed esce, braccato dal tempo che passa, che si dilata come un incubo per restringersi subito dopo. Si apposta persino davanti all’ingresso dei bagni per signore. Inutilmente, visto che Clara sembra svanita nel nulla. Walter torna a New York, privo ormai di ogni pensiero razionale, in cerca dell’amico Jon e di Ellie Briess, la ragazza incontrata da poco per la quale prova un sentimento ancora indefinito. L’essenziale è non restare solo.
Clara è precipitata nello scoscendimento roccioso che si apre dietro il Rainbow Grill (suicidio? delitto?), e Walter verrà a saperlo il giorno dopo dal detective Corby. Morta durante una sosta dell’autobus. Come la moglie di Melchior Kimmel. L’astrazione speculare si è fatta realtà, trasformandosi in meno di 24 ore in un meccanismo dialettico istruttorio che trae alimento dagli errori e dai rimorsi di Walter. Le reti di una giustizia plebea sembrano ammassarsi su Walter e Melchior, nel buio d’inferno dei sobborghi battuti dalla pioggia. Ma il vero vicolo cieco sarà la resa dei conti fra i due uomini, simili e opposti come due interpretazioni divergenti dello stesso principio.