La normalità possibile. Intervista a Simone Luglio e Dario Aita in occasione della messa in scena de ‘La nuova colonia’ di Pirandello allo Stabile di Catania
@ Loredana Pitino (18-06-2021)
Al Teatro Stabile di Catania, La nuova colonia di Luigi Pirandello, adattamento e regia di Simone Luglio, in scena al Palazzo della Cultura fino al 20 giugno.
Abbiamo incontrato il regista e il protagonista, Simone Luglio e Dario Aita per una breve intervista.
Dario, un ragazzo palermitano, che frequenta il liceo classico e che comincia ad appassionarsi di teatro, come nasce questa passione? Cosa viene prima?
AITA Prima il cinema, anche se sono due mondi che hanno sempre un po’ confluito in realtà. Sono cresciuto con le commedie dei De Filippo perché mio padre era un grande appassionato e ci faceva vedere le cassette. Poi il cinema: quando avevo 12-13 anni ho cominciato a guardare Fellini e ho subito maturato quella passione. All’inizio il mio sogno era più quello di diventare un regista cinematografico e quindi mi sono avvicinato al mondo attoriale per capire da vicino certi meccanismi. Poi quel mondo mi ha risucchiato e adesso faccio prevalentemente l’attore.
Ti abbiamo visto in molte fiction di successo quindi la popolarità è arrivata presto per te, ma adesso che equilibrio stai cercando?
AITA Il cinema è un po’ casa, davanti a una macchina da presa mi sento più a mio agio perché è un luogo che ho frequentato e abitato più del teatro. Malgrado la mia formazione sia strettamente teatrale (ho studiato alla Scuola dello Stabile di Genova), delle volte mi sento un po’ ospite, devo sempre prendere le misure quando vado in scena, il rapporto con il pubblico dal vivo mi dà ansia. Questo fa sì che io abbia molta necessità di teatro come una sfida sempre nuova da affrontare.
Un attore già di successo come ha vissuto il periodo le lockdown, cosa ha significato per te?
AITA All’inizio sembrava un breve periodo di sospensione, quasi surreale, pensavo che sarebbe passato in fretta; poi a un certo punto è arrivato il momento in cui abbiamo capito che tutto sarebbe cambiato, che il modo di guardare a noi stessi, al nostro lavoro, al ruolo che noi attori abbiamo rispetto alla società tutta era cambiato, dovevamo porci delle domande importanti.
Hai trovato poi delle risposte?
AITA Le risposte me le sto dando facendo, sono un uomo d’azione, bisogna seguire il proprio istinto, non sempre la risposta è giusta, a volte sbagliamo strada. La ricerca è fondamentale. La ricerca è la risposta stessa.
Però tu hai fatto anche tanto teatro, Shakespeare, Calderón de la Barca, come si evince dal tuo modo di recitare. Questa collaborazione con lo Stabile di Catania come è nata? La domanda la rivolgo anche a Simone Luglio.
AITA Noi abbiamo frequentato la scuola di Genova, ci siamo conosciuti in quell’ambiente
LUGLIO e ci siamo ripromessi prima o poi di trovare l’occasione per lavorare assieme.
Ed è capitato. Grazie a Laura Sicignano?
LUGLIO Grazie a lei che mi ha lasciato totalmente libero di scegliere gli attori, di fare un bando pubblico, che era finalizzato a un laboratorio per casting, per trovare questi 11 elementi che avrebbero composto la compagnia della Nuova Colonia. Da più di duecento curricilum arrivati 40 persone hanno fatto il laboratorio e da queste 40 sono emersi gli undici che vediamo in scena.
Io credo che ci siano tanti attori siciliani che per tanto tempo non hanno avuto il giusto spazio nei teatri siciliani, e che sono uomini di teatro che hanno anche dieci anni di esperienza nel mondo teatrale e sono considerati ancora giovani, e che finalmente, aprendo un bando pubblico per attori, hanno la possibilità di confrontarsi e di essere scelti. Nel cast abbiamo attori che si sono formati all’INDA di Siracusa, alla Silvio D’Amico, dello Stabile di Genova, dello Stabile di Catania, ma sono tutti siciliani, cioè attori nazionali di origine siciliana.
Allora forse l’affiatamento evidente in scena nello spettacolo nasce proprio da questo, dalla voglia di fare gruppo. Come avete lavorato insieme?
AITA Io mi sono trovato benissimo da subito perché Simone ha avuto il talento di mettere insieme artisticamente delle persone molto “belle”, delle belle persone con le quali lavorare e condividere questa esperienza, dei colleghi generosi, pieni di umiltà, di volontà, è stato “un bel lavorare”.
LUGLIO Anche perché quello che chiedevo non era facile, io chiedevo libertà creativa, però una libertà professionale non scambiata con anarchia, quindi una libertà generosa nei confronti dello spettacolo e della drammaturgia dello spettacolo. E non è stato facile, anche perché dopo un anno e mezzo che si era fermi, l’allenamento personale degli attori era un po’ indietro.
Questa è stata la difficoltà per tutti: avere la responsabilità ma nello stesso tempo rimettersi in corsa, anche fisicamente. Ci vuole resistenza ma anche testa perché gli attori sono in scena tutto il tempo per un’ora e mezza, con pochissime uscite. Tutto in attenzione sempre.
Simone Luglio, regista e interprete di Padron Nocio, perché proprio questo testo, così difficile e complesso di Pirandello? Quale è stata la difficoltà maggiore di fronte al testo, prima di immaginare la messa in scena?
LUGLIO La scelta è da kamikaze, quale sono. Nel senso che avevamo un teatro che ha creduto in noi e allora noi dovevamo sfruttare l’occasione al cento per cento. La prima difficoltà è stata quella di fare un adattamento di un testo che da 25 personaggi più le comparse è passato a undici attori, senza tradire Pirandello; questa è stata la sfida maggiore, quella di non tradire Pirandello, non tradire la storia, però riportarlo a un pubblico del 2021, con quel modo di scrivere di Pirandello che col teatro borghese suona bene, ma con dei disperati, ladruncoli, contrabbandieri, stonava un po’ all’inizio, poi, una volta entrato nella testa degli interpreti è partito.
C’è tanta filosofia in questo testo, come in tanti altri di Pirandello. Qui il personaggio che riporta la sua filosofia è La Spera. Quale messaggio fra tutti possiamo ancora ritenere attuale?
LUGLIO Tutto lo spettacolo è super attuale, perché quei disperati siamo noi, la nostra generazione che per prima, forse, si è ritrovata senza un futuro, senza il lavoro fisso dei nostri padri, quindi inventarsi un nuovo mondo lavorativo, cambiare sempre. Seconda cosa: la categoria che rappresento, quella dei lavoratori dello spettacolo, che sono proprio per definizione, quasi dei non lavoratori, non rientriamo in nessuna categoria; per questo pur di cambiare la propria vita, un attore decide di andare su un’isola che quasi sprofonderà, ma pur di rischiare lo fa e io ammiro questa cosa qui. Per questo non ho voluto assecondare Pirandello fino alla fine, con il suo finale da Dio del Vecchio Testamento, con tutti morti e resta solo la Speranza. No. Io l’ho chiuso più pirandellianamente del Pirandello, ognuno pensi quello che vuole della fine che fanno i personaggi, però ognuno ha preso una decisione e ognuno avrà delle conseguenze diverse.
Pirandello ci ha insegnato a non dare finali scontati. Io l’ho copiato in questo senso.
Dario, interpretare uno degli ultimi, dei disperati, questi reietti della società, serve? Come ti sei posto di fronte a un ruolo così duplice, da un lato Currau il capo, dall’altro lato il personaggio cattivo che fa più male alla Spera?
AITA Sulla questione dei reietti penso che sia fondamentale che l’arte ne parli, perché non ne parla nessuno, questi sono invisibili, chi ne parla oggi nella nostra società è soltanto la politica in termini strumentali sempre da una parte e dall’altra. Non c’è una narrazione reale su cosa succede, sono sempre categorie, numeri, dati. Non c’è una visione realmente profonda e onesta con uno sguardo umano sulle vite singole dei reietti. Mi piace quando il teatro racconta di quei mondi lì, così lontani da noi eppure così vicini. Un esempio lo vediamo davanti ai nostri occhi, qui al centro storico di una città importante come Catania, dove basta infilarsi in un vicoletto e vedere tre o quattro prostitute come La Spera, sedute davanti alle porte, basta sbirciare dentro e vedere una situazione che sembra di stare ad Algeri degli anni Sessanta, sembra un altro mondo e ti domandi com’è possibile che questi due mondi possano convivere. In questo c’è Currau con le sue ambizioni e le sue smanie di potere, in quel caso lì non è difficile attingere ai nostri lati più oscuri, ognuno di noi ha delle ambizioni più o meno nascoste per raggiungere le quali saremmo disposti ad accettare dei compromessi, lo facciamo continuamente. Il compromesso di Currau è un compromesso molto grande. Ma io nella vita ne ho fatti, forse ancora ne farò ed è questo che ci rende umani.
Una domanda che si fa sempre è relativa al ruolo sognato o rincorso nella vita, a me piace fare la domanda al contrario. C’è un ruolo che speri, ti auguri di non dover fare mai?
AITA Forse è lo stesso! E’ Amleto; è un ruolo che ogni volta che si proporrebbe l’occasione di farlo mi dico che prima o poi dovrò fare Amleto nella mia vita, poi in realtà quando lo rileggo c’è una parte di me che pensa che è un personaggio terribile, che fa soffrire e abitarlo per dei mesi, durante le prove e le repliche, deve essere una fatica bestiale. Ecco quello potrebbe essere un personaggio che temo moltissimo.
E invece per Simone, un progetto di regia, un’ambizione teatrale o cinematografica?
LUGLIO Ho in cantiere un Woyzeck, che è uno di quegli spettacoli d’avanguardia anni Settanta, invece è una bellissima storia d’amore e a me piacerebbe normalizzarla, a me piace normalizzare. Come ho fatto in questo spettacolo che per molti è mitico, mitologico, magico, La Spera è una madonna, un dio… io tendo a riportarlo a noi. L’astrazione non mi piace molto, anche perché non riesco a immaginarla io. Com’è una madonna? Io non l’ho incontrata mai, come faccio a metterla in scena? Se invece penso a una donna che fa quella scena, penso a una madre, a mia madre, al sacrificio di tante donne, questo me le rende reali.
Questo ho voluto fare con La Nuova Colonia.