Il paradiso degli uomini cattivi
@ Loredana Pitino (15-06-2021)
Al Teatro Stabile di Catania, La nuova colonia di Luigi Pirandello, adattamento e regia di Simone Luglio, in scena al Palazzo della Cultura fino al 20 giugno.
Nel 1831, a largo del Canale di Sicilia, apparve un’isola, a seguito dell’eruzione sottomarina di un vulcano, che si innalzò dall’acqua formando un vasto territorio che crebbe fino ad una superficie di circa 4 km² e 65 m di altezza.
Con atto sovrano del 17 agosto 1831, Ferdinando II di Borbone rivendicò l’isola come parte del Regno delle Due Sicilie, dandole ufficialmente il nome di Isola Ferdinandea.
Una terra nuova, vergine, senza insediamenti umani, selvaggia, primitiva, disabitata.
L’evento geologico, poi storico, stimolò il genio di Luigi Pirandello per creare uno dei suoi ultimi testi teatrali, uno dei cosiddetti “miti” (gli altri I giganti della montagna e Lazzaro), nel quale ipotizzare la fuga dalla realtà, l’evasione, la possibilità di dimettersi dalla vita già vissuta e sognarne un’altra.
Quale situazione migliore per immaginare l’occasione per abbandonare le convenzioni, le dinamiche sociali, i condizionamenti borghesi, dell’ipotesi di un mondo nuovo, non costruito o inventato (come la villa della Scalogna dei Giganti), ma vero, offerto dalla natura come un regalo straordinario e inaspettato da cogliere come un miraggio?
Fu così che nacque La Nuova colonia, pubblicato nel 1928.
Su questa isola vergine, Pirandello immagina che si rifugino un gruppo di reietti, briganti, emarginati, ubriaconi, con una donna, una prostituta con un bambino, per scappare dal mondo che li ha esclusi, derisi, giudicati, violati, ciascuno a suo modo, e ritrovarsi, uscire dalla forma consolidata e liberare la vita, quella autentica che ha bisogno di fluire senza schemi.
Si organizzano, infatti, prendono una barca e si mettono tutti in viaggio, affrontano il mare e approdano sull’isola, “il paradiso degli uomini malvagi”, e cominciano a lavorare la terra, a pescare, a produrre il vino; la donna, la Spera, accudisce chi ne ha bisogno, si collabora, finchè…
Finchè l’uomo con la sua natura malvagia, l’homo lupus homini non torna a prevalere anche qui. Vuole comandare, vuole possedere, vuole essere il più forte, recupera le vecchie sovrastrutture, le vecchie leggi, i tribunali, le gerarchie e le lotte, il consiglio dei nuovi coloni, feroci scontri tra bande opposte, con inganni e congiure e tradimenti.
Per Pirandello non c’è scampo, non c’è salvezza, come per Mattia Pascal, come per Ciampa, come per Vitangelo Moscarda, come per Chiarchiaro…..
L’isola, la nuova colonia diventa presto un nuovo inferno, uguale a se stesso.
Ma l’isola Ferdinandea, pochi mesi dopo la sua comparsa, sprofondò nel mare lentamente e inesorabilmente.
Il caso, come sempre in Pirandello, interviene e risolve, capovolge, scombina ogni progetto umano, ogni piano. Quando il delitto più efferato stava per compiersi, quando una madre stava per perdere il figlio (per opportunismo, per convenzioni sociali, per la prepotenza del maschio), al grido della Spera “Se tu mi levi il figlio trema la terra”, una voragine si apre e il mare ingoia tutti, tranne lei, la madre, l’unica capace di accogliere in sé le forze vitali della creazione. La madre che Pirandello esalta sempre come la figura salvifica e nutrice assoluta.
La nuova colonia è stato scelto come testo dal regista Simone Luglio perché qui “vi è tutta la delusione nei confronti della società e dell’uomo che ne è il fautore” e perché il momento difficilissimo che stiamo attraversando ci ha costretto a un “isola-mento” che ha messo alla prova ogni essere sociale.
La scelta si è dimostrata molto saggia, così come saggia è apparsa la regia, attenta anche se innovativa, vicina alla sensibilità contemporanea ma perfettamente cosciente della complessità e della concettualità di un testo che vede molti personaggi in scena, in una coralità che si movimenta di caratteri differenti. Gli attori scelti da Luglio sono tutti giovani, volutamente, e perfettamente in armonia: con ritmo serrato e sapiente uso della musica (originale di Salvatore Seminatore) la scena si anima.
Tenera e anche potente, riflessiva e saggia Lucia Cammalleri nel ruolo della Spera (personaggio commutatore della tesi di Pirandello sull’uomo e che lo Scrittore siciliano aveva costruito apposta per Marta Abba); seducente, magnetico Dario Aita nel ruolo di Currao, il capo che non vuole cedere il suo ruolo, ma bravi tutti gli attori.
Un’operazione che restituisce il teatro al teatro e ai suoi spettatori.