Misteri & delitti made in England
@ Lucia Tempestini (10-09-2020)
Tutto inizia con un delitto. Nell’estate del 1860 un roseo bimbo scompare nottetempo dalla villa georgiana dei genitori, nel Wiltshire. Sarà ritrovato poco dopo in giardino, con la gola tagliata. La vicenda viene minuziosamente raccontata in Omicidio a Road Hill House di Kate Summerscale, cronaca avvincente e misurata di un fatto di sangue che portò l’intero popolo inglese sull’orlo dell’isteria. Nessuna classe sociale si rivelò immune dalla febbre da detective che imperversò per anni intorno a questo caso dalle implicazioni torbide ed elusive. Giornalisti e avvocati, latifondisti e operai, sarte e nobildonne, cuoche e maggiordomi si improvvisarono investigatori, arrivando a formulare le ipotesi più fantasiose. La curiosità morbosetta nei confronti della potente famiglia coinvolta e il raccapriccio velatamente compiaciuto ruppero gli argini della consolidata pruderie vittoriana, del riserbo innato o tenacemente perseguito, di quell’aureo, appena sulfureo, distacco che innervava ogni quotidiana cerimonia sociale. Non ci fu più ritegno nell’analizzare le possibili turpitudini adulterine consumate nella nursery durante il sonno degli ignari (?) piccini, né gli afrori dei giacigli servili. Buon gusto e sacralità della privacy andarono definitivamente in frantumi davanti alle accurate descrizioni scatologiche riguardanti il bagno situato in giardino e utilizzato dai domestici.
Gli scrittori, celebri o sconosciuti che fossero, vennero travolti come e più degli altri da questa vertigine di misfatti e indagini. La pietra di luna di Wilkie Collins, pubblicato a puntate con enorme successo nel 1868 sul periodico All the year round diretto dall’amico Dickens, utilizza e rielabora alcuni elementi dell’inchiesta per creare il primo, vero romanzo poliziesco della letteratura inglese. In una grande casa isolata che ricorda Road Hill House, viene rubato un misterioso diamante indiano. Il dato strutturale più interessante di questo strepitoso sensational novel – non manca niente: sette esotiche, sabbie mobili, cacciatori di eredità, fumatori d’oppio, usurai, fanciulle volitive – è la scissione della prospettiva in una molteplicità di voci che assumono la forma di “caratteri” ben definiti: il compito e austero maggiordomo Betteredge, la devota, importuna Miss Clack, l’affidabile, scrupoloso avvocato Bruff, ecc.
La stessa tecnica era già stata usata da Wilkie Collins nel romance La donna in bianco, pubblicato, sempre a puntate, fra il 1859 e il 1860. L’intrigo è complesso e originale: affiora il tema del Doppio grazie a due giovani signore di levigata biondazzurrità, nonché di inquietante somiglianza (la folle, esangue, perseguitata Anne e la tenera Laura, quest’ultima legata all’amica Marian – ardente e ardimentosa, fisicamente lontana dai canoni vittoriani – da un rapporto saffico inconsapevole). Abbondano le soluzioni narrative curiose come le scene en plein air osservate a distanza dal narratore di turno, la cui decodificazione avviene in un momento successivo della storia – escamotage modernissimo che ritroviamo nelle prime pagine del Padiglione sulle dune di Stevenson, 1880. Ma soprattutto Collins ci regala un personaggio memorabile che veleggia nei cieli dell’intricata vicenda e ne è il segreto motore: il Conte Fosco. Nobiluomo italiano, avventuriero garbato, rappresentazione sublime dell’incipriata licenziosità settecentesca del Continente, mongolfiera aggraziata e cinguettante, fine intellettuale e, nonostante la mostruosa adiposità, sapiente seduttore, deliziosa summa di nequizie, ambiguo cavalier servente, accattivante e sinistro omino di burro, questa sconcertante incarnazione letteraria del Male assoluto – dell’attrattiva che il male esercita e della sua possibile, contraddittoria leggerezza calviniana – ci fa innamorare perdutamente.
Resta solo da dire che Dickens, invidioso dei clamorosi successi di Wilkie Collins, decise di cimentarsi a sua volta nel mystery creando un capolavoro di arte visionaria: Il mistero di Edwin Drood, purtroppo incompiuto (è consigliabile l’edizione Einaudi curata da Fruttero & Lucentini, dal titolo La verità sul caso D.).