“Transiti”/ Installazione / Piero Varroni / Una mostra d’arte a Roma sui migranti scomparsi
@ Vincenzo Sanfilippo (15-01-2020)
Roma – Il titolo “Transiti” si ispira – ci suggerisce l’autore – ad un censimento giornalistico apparso su “Il Manifesto” nel giugno 2018, sulle cui pagine sono stati pubblicati i nomi delle 34.361 persone che hanno perso la vita durante il viaggio per raggiungere le coste europee negli ultimi 15 anni, come è stato ricostruito dall’associazione olandese United for Intercultural Action con una lista di nomi e circostanze della morte. Di recente, nell’ottobre scorso, sono stati ulteriormente trovati dalla Polizia 39 corpi di migranti deceduti nel container di un camion nella contea dell’Essex, nel Sudest dell’Inghilterra, a circa 35 chilometri da Londra. Per cui questa ecatombe di migranti non può che incidere nell’inquietudine esistenziale di tutti coloro che aborriscono il senso comune dell’orrore, in quanto umanamente impegnati nel sociale. Piero Varroni, impegnato artista concettuale, nella sua ricerca interdisciplinare alla letteratura e alla poesia, persegue l’intento di avvicinare il “sociale nell’arte” attraverso i diversificati linguaggi contemporanei. Descrivendo la grande installazione annoto come l’intero contesto espositivo evidenzia una situazione in atto riguardo le variegate molteplici condizioni dei migranti in transito, quale attuale fenomeno comprensivo di varie tipologie, includendo sia gli immigrati regolari che quelli irregolari, i migranti di ritorno, i rifugiati e quelli che avevano richiesto asilo. Mentre sto scrivendo mi giunge la notizia choc di una ulteriore tragedia dell’immigrazione: un ragazzo ivoriano di 14 anni, individuato come Laurent Ani, etichettato dalla stampa “clandestino”, è stato trovato morto nel carrello di un Boeing 777 dell’Air France appena atterrato, proveniente da Abidjan, in Costa d’Avorio e diretto a Parigi. Evidentemente si era arrampicato di nascosto sulle ruote dell’aereo. Un volo durato oltre sei ore gli è stato fatale, si presuppone per asfissia o per congelamento. Scappare dalla propria condizione esistenziale–sognando l’Europa era per lui l’unica possibilità di realizzazione.
La mostra. L’artista Piero Varroni ha installato su grandi supporti di carta/cotone la versione grafica di un elenco di nomi delle migliaia di vittime accertate durante il loro esodo. Suscita molte emozioni l’impatto visivo di questi nomi inchiostrati digitalmente ad arte su questi grandi ‘tazebao’. Proviamo a leggere qualche nome della folta lista, l’anno, il nome del migrante individuato oppure sconosciuto, il paese d’origine, gli accadimenti, l’epilogo del viaggio. Ascolto qualche interessante commento tra i convenuti al vernissage, mi soffermo a parlare con amici artisti e visitatori e da questi colloqui emerge con evidente drammaticità la crisi contemporanea riguardo il tema enorme delle migrazioni di massa in atto finite in tragedie, resocontate nel database di questa installazione. Per cui, questo appropriato titolo “Transiti” rimanda a degli “esodi” da “bollino nero” come drammi ricorrenti nella storia umana. I secoli trascorsi ne sono pieni e gli avvenimenti geopolitici del Novecento e del Duemila li hanno moltiplicati e continuano a moltiplicarli. Leggendo questi tabulati scritti in inglese, possiamo intuire vicissitudini di fughe collettive causate da persecuzioni politiche, religiose o d’altro genere socioeconomico, da conflitti civili intrisi di odio e di vendetta che rendono le loro vite invivibili. Una installazione d’arte quella di Varroni che “attenziona” un’idea di globalità, ma con dei valori di rilevante impegno sociale. Per cui la parola “globalità”, oltre a servire da chiave di lettura per guardare le emergenze del nostro presente, è funzionale soprattutto per connotare un modo specifico di fare arte contemporanea, dove parole come “rete, connessione, o alterità” (nel senso di estraneità o differenza) non sono solamente argomenti che parlano dell’oggi e del nostro complicato mondo; altresì delucidano e focalizzano gli attuali modelli etico-estetici che resocontano i nuovi linguaggi divenuti – oggi più che mai – sistemi culturali di comunicazione. “L’intenzione – ci suggerisce Varroni – è stata quella di trasporre sul piano concettuale accadimenti drammatici e reali… Quando le parole, scritte e dette, sono tali da impedirci di vedere oltre la superficie, quando le voci sono infinite e indistinguibili – continua l’artista – se tutto è di troppo, allora è bene fare pause di osservazione e di riflessione; un invito a una lettura diversa, soprattutto visiva. Le pagine dei giornali possono offrire un pretesto per le ‘riscritture’, come trasformazione in mappatura di reperti usuali, o piuttosto un’appropriazione di “scritture-ready-made” estrapolate dall’iper-comunicazione.” Dunque, l’intero contesto culturale nella sociologia dell’arte è così cambiato che è quasi impossibile usare oggi lo stesso linguaggio anacronistico del passato senza creare equivoci o falsificare l’interpretazione della contemporaneità.