Come responsabile del settore cinema di Scénario ringrazio il Teatro Eliseo di Roma per aver coprodotto e distribuito in Italia ‘J’accuse’, e Odeon CineHall per la consueta, cortese collaborazione e per aver dato visibilità nella città di Firenze a un capolavoro che lascerà un segno indelebile nella storia dell’arte, al di là di ogni polemica da ballatoio. (l.t.)
‘J’accuse’, o sulla decomposizione del Potere, Gran Premio della Giuria alla 76. Mostra del Cinema di Venezia
@ Lucia Tempestini (02-12-2019)
Firenze, Odeon CineHall – La senti subito. La intuisci con l’angolo estremo dello sguardo, con la concentrazione allarmata dei sensi. Avverti la rabbia. Uno sdegno implacabile che riesce miracolosamente a prendere le distanze da se stesso e, con una misura presente solo nei classici di cui si era smarrito persino il ricordo, a farsi occhio onnisciente che rivela i segreti mistificatori del potere a poco a poco, pedinando lo sguardo dei personaggi nei palazzi, nelle aule, negli uffici, dentro i faldoni, nei dossier, accanendosi sui volti dei molti generali e colonnelli e ministri e giudici e periti pazzoidi presenti nel film, facce gonfie come rospi, spigolose e crudeli, ottuse, sfigurate dalle pustole sifilitiche, senza omettere la ri-creazione accurata delle voci che deplorano l’immoralismo della nuova società francese levandosi con un gracidio di morte dalla fanghiglia maleodorante della menzogna e della manipolazione. C’è un sarcasmo allucinato, una mostrificazione sapiente nella quale riluce l’esegeta di Dickens, in questi ritratti di alti ufficiali ossessionati dalla sacralità dell’Esercito, che assistono sogghignando, sotto il cielo grigio, alla degradazione umiliante di Alfred Dreyfus – il sarto ebreo inviso a tutti per la serietà, il patriottismo autentico e il senso dell’onore, e perfetto capro espiatorio – appena condannato per alto tradimento. Mentre gli vengono strappati dalla divisa i simboli del rango militare – i bottoni dorati dalle olivette della giacca, le bande laterali rosse dai pantaloni –, travolto da un senso di ingiustizia il capitano Dreyfus grida la sua innocenza davanti alla folla acefala che, come sempre capita, gode a infierire su chi viene identificato come reietto.
J’accuse può essere considerato l’elevazione all’ennesima potenza di The Ghost Writer. I due film hanno in comune il senso di una minaccia incombente e indefinita, l’evocazione delle forme elusive e illegali assunte dal potere, e la vertigine di alcuni segni prettamente hitchcockiani: l’attesa dell’ignoto, la sostanziale solitudine del personaggio principale, l’isolamento della vittima, che in J’accuse viene rappresentato attraverso un progressivo allontanamento dell’obiettivo dall’Isola del Diavolo – dove il Tribunale militare confina Dreyfus affinché nessuno gli possa parlare, ma soprattutto perché lui non possa parlare con nessuno – sino alla scomparsa della sagoma pietrosa dietro la linea dell’orizzonte.
Altro topos in cui si può rintracciare la grammatica visiva di Hitchcock – questa volta innestata su un immaginario kafkiano di cui Polanski propone genialmente l’amarezza ironica (pressoché ignorata nell’Europa occidentale) – è l’utilizzo di interni claustrofobici e labirintici che tendono a slittare verso la dimensione simbolica. Quando al maggiore Georges Picquart viene affidato il comando dei servizi segreti dell’esercito, entriamo insieme a lui – insieme al suo sguardo – nella palazzina abbandonata all’incuria in cui si mimetizza il continuo, losco trafficare dei vari ufficiali e sottufficiali. Picquart è urtato dalla presenza di un sottobosco di informatori chiassosi che vivono come parassiti al piano terreno dell’edificio, dall’untume nero che ingromma persino maniglie e corrimani, dai miasmi di fogna che insieme al caldo soffocante impregnano l’aria rendendola irrespirabile, dall’incessante attività di sottrazione delle lettere private spedite (o strappate e gettate nel cestino, e successivamente ricostruite) dai funzionari delle ambasciate straniere. In questo luogo liminale e ambiguo sono state costruite le false prove contro Dreyfus e occultate quelle che avrebbero potuto incriminare il vero traditore, il colonnello Ferdinand Walsin Esterhazy, e qui Picquart riesce un tassello dopo l’altro a ricostruire l’intera cospirazione. Coscienza e rettitudine impongono al maggiore di iniziare una battaglia per la revisione del processo che gli costerà un anno di carcere, e in cui avrà un ruolo determinante Émile Zola con il celebre editoriale J’accuse, scritto in forma di lettera aperta al Presidente della Repubblica francese Félix Faure e pubblicato dal giornale socialista L’Aurore il 13 gennaio del 1898. Alla fine, dopo varie fasi processuali impervie e contraddittorie, sarà riconosciuta l’innocenza di Dreyfus.
In J’accuse Polanski innesca un potente meccanismo narrativo per mezzo dell’amplificazione di senso dei dettagli, di quelli che potremmo chiamare oggetti di scena, osservati con una cura maniacale, dai pantaloni larghi dei soldati, introdotti nell’Ottocento per seguire la moda turca, ai loro abiti borghesi, dalle lampade a petrolio alle camicie da notte ricamate, dalle insegne dei ristoranti e dei bistrot alle posate. In momenti di supremo iperrealismo vengono rese visibili persino le venature della carta da lettere, il suo spessore e la sua qualità. In alcune sequenze, citando Manet, il regista riduce la profondità spaziale per rendere individuabili i personaggi dalla contrapposizione fra i colori degli abiti e le sfumature grigie o verdastre utilizzate per lo sfondo, pareti o altro. Fra le molte immagini indimenticabili, Polanski consegna all’eternità della storia dell’arte quella in cui in cui Pauline Monnier – l’amante di Picquart, interpretata con morbida, disincantata sensualità da Emmanuelle Seigner – appare seduta e avvolta nella luce chiara e velata del mattino, mentre dalla vestaglia leggera fuoriesce una gamba che si riveste di albore perlaceo.
J’ACCUSE (L’UFFICIALE E LA SPIA)
Regia: | Roman Polanski |
Produzione: | Legende Films (Alain Goldman), RP Productions, Eliseo Cinema, Rai Cinema, Gaumont, France 2 Cinéma, France 3 Cinéma, Kinoprime Foundation, Kenosis, Horus Movies |
Durata: | 132’ |
Lingua: | francese |
Paesi: | Francia, Italia |
Interpreti: | Jean Dujardin, Louis Garrel, Emmanuelle Seigner, Grégory Gadebois |
Sceneggiatura: | Robert Harris, Roman Polanski |
Fotografia: | Pawel Edelman |
Montaggio: | Hervé Deluze |
Scenografia: | Jean Rabasse |
Costumi: | Pascaline Chavanne |
Musica: | Alexandre Desplat |
Suono: | Lucien Balibar |
Effetti visivi: | CGEV |