Il vulnus dei riconoscimenti. Qualche riflessione sui César 2020

Il vulnus dei riconoscimenti. Qualche riflessione sui César 2020

@ Lucia Tempestini (29-02-2020)

 

Céline Sciamma, Noémie Merlant, Adèle Haenel

È un’immensa fatica mettere mano alla tastiera per parlare di questioni lontane dall’analisi critica delle singole opere cinematografiche, teatrali e letterarie, però in alcune occasioni – quando si ha la sensazione che il dibattito culturale stia prendendo una deriva insidiosa – appare necessario assumere una posizione, o anche più di una.

Chi ha la gentilezza di seguirmi sa quanto io sia lontana da #MeToo e quanto mi sia prodigata in difesa di J’accuse e del diritto che Roman Polanski ha di continare ad esprimersi serenamente come artista, nonostante sia stato marchiato in eterno come stupratore. Però la serata dei César mi ha costretta a una riflessione ulteriore. La reazione di Adèle Haenel all’annuncio del premio per la regia assegnato a Polanski è certamente sopra le righe, ma comprensibile dal punto di vista umano viste le molestie subite a 12 anni e soprattutto giustificata dallo sdegno nei confronti di chi ha pressoché ignorato Portrait de la Jeune Fille en Feu, un film straordinario da ogni punto di vista, il più emozionante visto sugli schermi da almeno dieci anni.

Venerdì si è consumata una triplice ingiustizia: le manifestazioni oltraggiose contro Polanski, il gesto eccessivo di Haenel e i responsi discutibili delle Sibille dell’Académie des arts et techniques du cinéma. Adesso i vertici dell’Académie si rinnoveranno completamente, ma se i criteri di giudizio saranno quelli di emarginare artisti come Polanski per ragioni (lontanissime) riguardanti la sua vita privata o di premiare capolavori come Portrait solo per gli elementi femministi presenti nel suo humus anziché per la sua unicità, i problemi potrebbero addirittura peggiorare.

L’errore, perdonabile, di Haenel non è quello di essersi rivoltata contro un’assegnazione non allineata al valore artistico bensì quello di aver chiamato Polanski ‘pedofilo’. Se anche fosse Jack the Ripper redivivo questo rappresenterebbe un fattore estraneo alla sua arte, che nessun operatore culturale serio dovrebbe prendere in considerazione.

Adèle Haenel

Mai come ieri sera le premiazioni sono apparse un vulnus. Forse è arrivato il momento di ripensare attentamente modi e intenti delle manifestazioni che stanno trascinando il cinema dentro una poltiglia mediatica avvilente. Compito dei festival e delle varie Accademie sparse per il mondo dovrebbe essere quello di presentare e promuovere le opere meritevoli di attenzione, non di avventurarsi in maniera temeraria nell’impresa di ‘giudicarle’, soprattutto se i criteri cui ci si uniforma sono politici (in senso lato) e non estetici. A questo punto, premi e giurie andrebbero eliminati, sempre e ovunque. Anche perché dimostrano con frequenza allarmante di essere guidati dalle leggi di mercato (vedi Oscar), o rischiano di diventare occasioni di visibilità per personaggi semisconosciuti inclini all’esibizionismo manicheo (vedi Venezia 2019).

Rendiamo omaggio a Portrait riproponendo le recensioni di Scénario. Torneremo su questo film all’inizio dell’estate con nuovi articoli.