Tra sogno e immaginazione, Un lungo viaggio nella notte di Bi Gan
@ Loredana Pitino (04-08-2020)
Sogni, ricordi, immaginazione, indagini. Piani del vissuto di un uomo alla ricerca del suo passato, della donna amata, dell’immagine della madre persa quando era bambino, del padre appena morto.
Piani che si mescolano e si confondono in una costruzione filmica disaggregata, che insegue le suggestioni della libera associazione di idee attraverso la quale la mente agisce. Lo spunto di partenza è fornito da una novella di Roberto Bolaño, il cui titolo originale è Last Evenings on Earth.
Luo Hongwu torna a Kaili, la sua città natale, da cui era fuggito diversi anni prima. Città situata in una regione sub-tropicale dove piove spesso, soprattutto d’estate; caratteristica che immerge simbolicamente il film in un’atmosfera satura di umidità dove il protagonista e tutti i personaggi sembrano galleggiare, come immagini riflesse in uno specchio.
Difficile trovare un filo narrativo logico e consequenziale, la sola logica seguita dal regista è quella della mente che salta letteralmente da un ricordo all’altro, da un’immagine all’altra, da un sogno all’altro, senza nessi riconoscibili.
All’inizio, una voce narrante che corrisponde a quella del protagonista si interroga e ci interroga sulla natura della vita: “sapevo di trovarmi ancora dentro un sogno (….) è come fare un viaggio extracorporeo, se il mio corpo è di idrogeno, allora i miei ricordi sono di pietra”.
Il regista chiarisce che il suo intento non è assolutamente quello di “narrare esclusivamente una storia, la storia non è l’elemento più importante”. L’aspetto su cui il regista ha voluto soffermarsi è l’atmosfera dei luoghi: coglierla e riprodurla con precisione.
Un lungo viaggio nella notte è stato girato nei dintorni di Kaili in dialetto mandarino, scelta dettata dalla volontà del regista di rendere unici e poetici i dialoghi. Il grande edificio presente nel film è stato costruito dai sovietici all’epoca dello sfruttamento delle vicine miniere e, in seguito, trasformato in una prigione, oggi in disuso.
In gran parte della pellicola viene utilizzata la tecnica in 3D e la narrazione va a comporsi in un lungo piano sequenza. Alcune scene sono riprese con dei droni che danno la netta sensazione di volare insieme ai personaggi, come in un quadro di Chagall – pittore che Bi Gan ama e a cui si è ispirato -, per dare alle immagini l’evanescente consistenza di un sogno.
Altro riferimento colto, sempre a detta del regista, la Divina Commedia, e il suo viaggio onirico in mondi non realistici e non sempre connessi fra loro.
“È un invito al viaggio, non è importante che il pubblico pensi che i personaggi siano vivi o morti”.
In questo girovagare verso nessuna meta, nella quiete esistenziale, si finisce per trovare ciò che non si cerca e cercare ciò che non si trova e a chiedersi insieme al protagonista: “Riusciamo a capire quando stiamo sognando?”