Don Chisciotte e Sancho Panza, due attori soli
interpretato da Marcello Montalto e Alessandro Romano, adattamento teatrale tratto dal romanzo di M. de Cervantes (per l’associazione Madè)
@ Loredana Pitino (27-08-2020)
Lo spettacolo andato in scena in una sera di fine agosto presso il Lido dei Ciclopi ad Acicastello, Catania, ha visto dialogare e raccontare due attori soli: Marcello Montalto e Alessandro Romano. Il testo celeberrimo del romanzo di Miguel de Cervantes è stato preso come spunto (in parte “saccheggiato”) per una riflessione sul valore e la necessità dei sogni e su coloro che con forza e coraggio decidono ogni giorno di alzare la testa e combattere i soprusi.
L’intento della rilettura e riadattamento era quello di indagare “la continua barbarica lotta dell’uno contro l’altro per superare le difficoltà ed emergere” (note di regia).
Il Don Chisciotte di Cervantes è un capolavoro assoluto, un romanzo complesso, articolato e metaforico che non è certamente materia da trattare con frettolosità; quello che gli stessi registi hanno definito “un lavoro di sartoria” richiederebbe anche un’attenta e raffinata rifinitura, con orli ben cuciti e passamanerie a definirne le parti. Invece ci è sembrato un vestito di arlecchino, coi colori accoppiati a caso e poca cura negli accostamenti.
Interessante la presenza in scena dello stesso Cervantes che conduce il filo della narrazione, poco chiaro il rapporto che intercorre con i due personaggi che danno vita al racconto moderno e che dovrebbero essere dei Chisciotte e Sancho Panza attuali, paladini delle ingiustizie del mondo moderno: due uomini che si muovono in una discarica, impressa come luogo senza tempo, e metafora di ciò che sta al limite della discriminazione sociale. Cosa li abbia colpiti, quale ingiustizia o sopraffazione, quale battaglia abbiano perso non è chiaro, i due accennano solo a riferimenti e lamenti sulla loro condizione, sappiamo che si sono opposti al potere, il resto rimane molto generico. Da ciò nasce il ricordo della grande epopea del cavaliere della Mancha e delle sue avventure compiute in nome della ricerca di giustizia e uguaglianza.
Si animano i passaggi del romanzo, gli attori entrano nei panni di Don Chisciotte e di Sancho Panza, cavalcano un asse da stiro che diventa il fido Ronzinante, impugnano una gruccia che diventa la spada, il cavaliere viene investito in una cerimonia solenne che, poi, però, diventa cabaret, di quelli scontati, che strappano la risata a tutti i costi col coinvolgimento del pubblico e comicità forzata.
Lo spettacolo prende la forma di una pantomima dove Montalto e Romano dimostrano di essere bravi e intensi attori, molto giusti nei ruoli, anche capaci di cantare e suonare dal vivo, di essere credibili anche nell’allegoria degli oggetti che diventano personaggi.
In tutto ciò Cervantes viene ridotto a un testo recitato come in una poesia, il pastiche drammaturgico spazia dal travestimento alla citazione dei pupi siciliani, all’avanspettacolo dei tempi andati, al riferimento a Totò.
Interessante l’utilizzo delle musiche di scena, con una strizzata d’occhio a Guccini e una citazione di Paolo Buonvino (La Matassa), che puntellano alcuni dei passaggi migliori.
Il messaggio finale, lievemente accennato: che ci siano stati dei nuovi Don Chisciotte intravisti in Gandhi, in Martin Luther King, perfino nel Papa, ma che non ci siano, oggi, più cavalieri erranti.