Via dalla “sorte bizzarra e cattiva”. ‘La vita salva’ di e con Silvia Frasson alla Festa del Teatro di San Miniato – prima assoluta
@ Mattia Aloi (02-08-2020)
San Miniato – Mesi di oscurità e segregazione in nome di una minaccia verso l’esistenza, mesi in cui la paura serpeggia e col suo morso velenoso tinge di sospetto gli sguardi delle persone mentre la prudenza diviene paranoia. I teatri vengono chiusi fino a data da destinarsi; poco prima della riapertura si ventilava addirittura l’ipotesi di far recitare gli attori con la mascherina. Per riprendersi dallo stato catatonico in cui questi mesi ci hanno sprofondato è necessaria tutta la potenza del teatro, e Silvia Frasson con il suo spettacolo “La vita salva” usa attraverso la narrazione tutta la forza delle emozioni per scuoterci con il fragore di un tuono e riportarci allo stato di viventi e non di sopravviventi.
Silvia, esile, abiti neri, sale su un palco spettrale, vuoto come le piazze e i teatri in questi mesi e inizia a raccontare. Dal racconto veicolato dalla sua incredibile espressività nasce una storia di destini incrociati. Lo spettacolo più che sul dipanarsi della trama fonda la sua efficacia sul mettere al centro le persone, elevandole a qualcosa di più che semplici personaggi. Ogni singola vita viene tratteggiata e mentre il racconto dalla terza persona passa alla soggettiva del personaggio, anche noi veniamo fatti entrare dentro la pelle di quella persona, vivendo attimo per attimo quello che avviene, assistendo allo spettacolo non più dalla platea ma direttamente da dentro alla storia.
Quattro ragazzi che vivono al massimo la loro adolescenza; Linda, infermiera in ospedale con una proposta in sospeso; Giorgio, uno studente di 25 anni; Celeste, una bambina dal cuore grande (e capace di frasi a effetto sensazionali); Marta, una donna di mezza età che decide di rimettersi in gioco; il dottor Cori.
Un intreccio di vite di persone di ogni età che ruotano attorno alla morte e dalla morte traggono l’humus grazie al quale rinverdirsi e germogliare. Lo spettacolo inizia con la descrizione della formazione del cuore, e il battito del cuore è il filo rosso che unisce tutte le parti della narrazione. Un semplice muscolo involontario da sempre eletto a vascello dei nostri sentimenti: il battito accelerato dell’amore, il martellante pulsare della speranza e della paura; il tuffo al cuore dei momenti di disperazione più profonda; il battito regolare e ostinato quando tutto il resto è già scivolato in un coma irreversibile. Il ritmo incalzante dei battiti durante una corsa a perdifiato, prima di tuffarsi in acqua.
La Frasson sincronizza i battiti dei personaggi con quelli degli spettatori; in particolare, il momento in cui la madre ascolta inerme il realizzarsi del più grande incubo di ogni genitore è una pugnalata nell’anima, di una potenza e una efficacia difficilmente intuibili per chi non abbia assistito alla pièce, in cui comunque il dramma si alterna a momenti leggeri e lacrime di gioia, arrivando a essere uno spettacolo a tutto tondo dal punto di vista emotivo.
In un momento come questo in cui un po’ tutti ci sentiamo soli “in balia di una sorte bizzarra e cattiva”, come diceva Paolo Conte, ripartire dall’intimo di noi stessi per ricreare la rete umana che ci accolga e ci faccia riavvicinare gli uni agli altri è fondamentale e il teatro di narrazione fa proprio questo, ripartendo dalla singola persona che, non mediata da un personaggio, si mette in gioco e ci racconta una storia senza lo schermo della messinscena. Per quanto sia solo una storia ci appare vera, e attraverso il racconto la viviamo e sentiamo il cuore che torna a battere, le membra che si riprendono dal torpore e, spente le luci della ribalta, siamo pronti per tornare a vivere.