‘Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità’. “Il grande passo” di Antonio Padoan, con Giuseppe Battiston, Stefano Fresi, Camilla Filippi, Flavio Bucci, in uscita il 20 agosto
@ Loredana Pitino (14-08-2020)
Il 20 luglio 1969 Dario aveva sei anni e guardava le immagini dell’allunaggio in braccio al padre. Quel “piccolo passo per l’uomo ma grande passo per l’umanità” gli segnò la vita. Da allora è vissuto solo per un sogno: andare sulla luna, anche lui. Ha studiato, è diventato ingegnere aerospaziale e ha trasformato un fienile in un hangar dove ha costruito la sua piccola astronave per andare nello spazio.
Quella sera il padre lo aveva tenuto in braccio, gli aveva trasmesso la vena creativa del suo carattere e poi era scomparso dalla sua vita. Mario, suo fratello, era nato qualche anno dopo, e anche lui verrà abbandonato, dallo stesso padre, ancora bambino. Mario e Dario Cavalleri si erano visti una volta sola, aspettando di incontrare il padre. Da questo spunto familiare doloroso nasce il soggetto de Il grande passo, film del regista veneto Antonio Padovan (al suo secondo lungometraggio, dopo Finché c’è prosecco c’è speranza), premiato al Torino Film Festival. La storia che ne nasce è una fiaba ironica tanto surreale quanto divertente, fantastica ed ingenua, ma di una ingenuità che ha la sfumatura di un valore aggiunto.
I due fratelli, fisicamente molto simili – i ruoli affidati a Giuseppe Battiston e Stefano Fresi giocano proprio sulla somiglianza fisica – caratterialmente così diversi, si ritrovano perché Dario rischia di finire in un centro di detenzione per malati mentali in quanto ritenuto pericoloso dalla comunità del piccolo borgo del Polesine dove vive e dove ha costruito la sua astronave. Così Mario, fratello romano, docile e malinconico si trova costretto a prendersi cura di lui e ad aiutarlo.
In comune davvero i due hanno solo il peso di essere stati abbandonati, il desiderio di risanare il rapporto col padre, ognuno il proprio ricordo nostalgico di una figura lontana, di un vuoto che è diventato per entrambi esistenziale. Ciò che li unirà fortemente sarà lo scontro con questa figura mancata, ritrovata e nuovamente persa. Il film (che in realtà zoppica in più di un passaggio) si arricchisce di un frammento prezioso, nel momento dell’incontro tra i figli e il padre, interpretato da Flavio Bucci, per l’ultima volta sullo schermo. Da quel momento in poi il legame tra i fratelli sarà fortissimo, tale da spingerli a condividere il sogno impossibile di andare sulla luna, tale da puntare lo sguardo oltre i limiti di una vita che non ce la fa a decollare, perché in qualcosa si deve credere, “fare o non fare, non esiste provare”.
Padovan ha dichiarato: “raccontando questa storia ho voluto rendere omaggio a due mondi del cinema che amo. Da un lato quello americano, un po’ infantile e sentimentalista, con cui sono cresciuto da bambino: il cinema di sognatori come Steven Spielberg, dell’ingenuità vista come valore, dell’inno alla meraviglia. Dall’altro il cinema della mia terra, quello silenzioso e sincero, creato da artigiani come Carlo Mazzacurati, fatto di spazi dilatati, di sentimenti delicati e autentici, traboccante di affetto per la normalità”.
Il sapore del cinema di Mazzacurati si avverte subito, nelle atmosfere, nei piccoli bar desolati, nella nebbia della Pianura Padana, nella delicatezza delle figure femminili (Notte italiana soprattutto).
Quanto sia strampalato e assurdo il sogno di Dario lo spettatore lo avverte subito, a vedere l’attrezzatura rudimentale, la tuta da palombaro di Jules Verne, la rampa di lancio nel mezzo del campo ecc. ma l’atmosfera da fumetto in bianco e nero mette meglio a fuoco il rapporto fra i personaggi, l’autenticità dei loro sentimenti, la tenerezza degli sguardi, l’intesa nelle loro espressioni. In questo Battiston e Fresi, con la loro fisicità ingombrante e per questo fuori dai canoni di qualsiasi eroe, sono concreti e sinceri tanto quanto surreale e poco credibile il loro progetto.
Quello che conta è aver ritrovato la complicità, quello che li unisce adesso è un sogno, se pur assurdo come quello di Don Chisciotte, perché Dario esiste solo per quel sogno: “La sai la differenza tra gli uomini e gli animali? I sogni”
In un finale che è un evidente omaggio a E.T, un gesto restituisce il valore di un rapporto recuperato, una carezza fatta alla visiera della tuta, un contatto umano carico di sentimento e di pudore, un piccolo detonatore del legame di sangue, mai davvero interrotto.