All’ombra del potere, sotto la luce delle stelle. La Compagnia delle Seggiole al Bargello di Firenze
@ Mattia Aloi (16-08-2020)
Firenze – Antiche note echeggiano nel cortile e risuonano fra gli archi illuminati dalla luna nel cortile del Bargello, palazzo nato assieme al libero comune di Firenze come sede del capitano del popolo, per poi essere trasformato in un carcere e infine in un museo: dove un tempo gli uomini contavano i giorni in attesa del giudizio o dove i condannati, passando per il cortile, osservavano per l’ultima volta quello spicchio di cielo negli infiniti attimi che precedono la condanna capitale, ora le immortali statue sorvegliano con sguardo vitreo il passare delle ere.
Le note sono prodotte da un musico che catturerà me e il gruppo di spettatori come il pifferaio di Hamelin, conducendoci su per la ripida scalinata fin dentro alle secolari sale del palazzo.
Un uomo ci attende nella saletta del trecento: Geri da Volognano, passato alla storia come il primo galeotto a risiedere in quella prigione e dal quale la torre Volognana prende il nome. Seguiamo ancora la musica per fare la conoscenza di Giovan Battista da Montesecco, uomo d’onore che, sebbene coinvolto nella congiura dei Pazzi, si rifiutò di colpire i Medici a tradimento durante una messa; costretto a confessare le sue colpe sotto tortura finì per ricevere dalla vendicativa famiglia fiorentina una pena più “leggera” rispetto a quella degli altri congiurati: anzichè la forca gli fu concessa la decapitazione. Il fantasma di Giovan Battista da allora vaga per le sale alla ricerca della sua testa. Certamente ci sono posti ben peggiori in cui fare lo spettro: almeno qui può godere delle opere accumulate nelle enormi aule, e lo stesso viene concesso a noi, per un tempo molto più breve rispetto all’eternità. Giusto uno sguardo all’interno della cappella di Santa Maria Maddalena, dove i condannati sostavano prima di salire al patibolo e dove Antonio Marini riportò alla luce i due affreschi che si fronteggiano raffiguranti l’inferno e il paradiso, nel quale compare il ritratto di Dante attribuito dal Vasari a Giotto. Accompagnati dalla musica usciamo a “riveder le stelle”, tornando nel cortile dove incontriamo nientemeno che l’enigmatico Machiavelli, uno degli ospiti più illustri delle celle del Bargello. Fabio Baronti ci porta davanti una figura ben lontana dal freddo e cinico calcolatore descritto nel principe (che Machiavelli scriverà poco dopo la liberazione), un uomo piegato dalla prigionia e sfinito dalla tortura della corda alla quale è stato sottoposto; un uomo abbandonato al suo destino proprio dai principi che serviva e liberato solo grazie ad una amnistia.
Nella sala dove dimora, fra le altre, la statua del David di Donatello, concediamo l’ultimo applauso al menestrello e ci ritroviamo al cospetto di un principe senz’altro illuminato: Leopoldo II D’Asburgo-Lorena, fratello di Maria Antonietta e Granduca di Toscana, il cui merito più grande è certamente l’aver eliminato la tortura e la pena di morte nel Granducato, primo regno nel mondo a conseguire un tale merito. Leopoldo, ispirandosi all’autore di “Dei delitti e delle pene” Cesare Beccaria, chiude il cerchio di morte e sofferenza al quale quelle mura hanno dovuto assistere. “Non vi è libertà ogni qual volta le leggi permettono che in alcuni eventi l’uomo cessi di essere persona e diventi cosa ” dice Beccaria. Con gli anni anche il Bargello riguadagnerà la dignità diventando da carcere museo, dunque veicolo di cultura che libera gli uomini.
La Compagnia delle Seggiole rende quindi viva la cultura, facendo vivere il palazzo-museo così che gli occhi degli spettatori non siano mai stanchi di saltare di opera in opera, mentre le orecchie seguono il suono degli strumenti d’epoca che aleggia nelle sale e le loro menti vengono proiettate in un tempo passato dove affondano le radici comuni.